domenica 17 gennaio 2016

Il signor Augusto Nigro




La nebbia, ombra della vita, ombra della morte, poroso confine di tutte le cose conosciute e sincere, gli pesava sulle spalle come un pesante mantello. Sopra lo strato di bambagia, il sole solcava l’azzurro di un mattino imperfetto. Il signor Augusto Nigro andava per la sua strada.

E’ un uomo alto e incredibilmente magro, leggermente curvo, ha perennemente un’aria afflitta e compassata. Il suo volto è pallido e scavato, gli occhi neri sono piccoli e infossati, le sue pupille sono come l’acqua scura che ti fissa dal fondo di un pozzo. Anche oggi non fa eccezione; anzi, la sua negra figura s’intona singolarmente col paesaggio tetro, grigiastro, autunnale che lo circonda. Indossa un paltò di foggia antiquata, nero come la notte più nera, pantaloni larghi e comodi, scarpe testa di moro le cui punte il tempo ha curvato all’insù e una cravatta color della pece. Una figura inquietante, scura, che si stagliava nel grigiore delle brume mattutine. Ma, a modo suo, il signor Augusto Nigro era elegante.

Elegante come la morte.

Già, perché il signor Augusto sulla morte fa affari, sulla morte ci campa, e anche bene. E’ un impresario delle pompe funebri.

Augusto Nigro, come dicevamo, andava per la sua strada. La sua rara inquietudine notturna svaniva nell’aria pesante e fosca e lampi di luce grigiastra solcavano il suo volto mal rasato, scacciando le paure che tornavano ad affacciarsi alla finestra della sua vita.

Egli non ha paura della morte; come dicevamo, la morte è la sua compagna di viaggio, la sua socia in affari, la auspica come si auspica un lauto guadagno. No, egli non teme affatto la morte. Il signor Augusto Nigro teme la vita.

Teme la vita con tutte le sue imprevedibili complicazioni, la morte al confronto è così semplice. Cos’è mai la morte, il vuoto, il buio, il nulla? Come si può temere nulla? Se ti chiedono di cosa hai paura, cosa rispondi: ho paura di niente?

Le complicazioni del signor Augusto Nigro hanno una forma ben definita e un nome certo. L’inquietudine del signor Augusto ha forme morbide e tondeggianti e risponde al nome di Adelia Novotis.

E già. Augusto si è perdutamente innamorato della signora Adelia. Ma non ha ancora trovato il coraggio di dichiararsi, perché la signora in questione è felicemente sposata con il borgomastro. Però le ha scritto una serie infinita di bellissime lettere d’amore. Peccato che abbiano fatto tutte la stessa identica fine. Ora dormono beate in un cestino della spazzatura. Ma andiamo a recuperarne una, l’ultima che ha scritto, o ha cestinato, in ordine di tempo.

… Io non esisto. Sono una specie di fantasma nella notte. Almeno tu sai ridere. Io mi sono scordato come si fa. C’è una crepa in ogni cosa. E’ da lì che entra la luce. Adelia, io avevo soltanto una crepa, una miseranda scalfittura sulle pieghe dell’essere, ma tu l’hai trovata la mia crepa e la stai allargando con il tuo sorriso, con la tua voce, con la tua luce. Non posso più fare a meno di te. Non oso continuare la mia vita senza te…

Accidenti! Questo si chiama scrivere. Il signor Nigro è un poeta. E chi l’avrebbe mai detto? Allora Augusto, dai, trova la forza, trova il coraggio di dichiararti, tu che non temi di vivere fra i morti, tu che patteggi con la morte la certezza di un buon profitto. Riprendi la lettera, spiega quei poveri fogli accartocciati e falli avere alla signora Novotis. Vedrai come cadrà ai tuoi piedi.

Augusto si vestì di tutto punto, indossò il paltò, il cappello, i guanti neri e prese il bastone, come quando doveva contrattare un funerale importante e si avviò verso la casa del borgomastro. Non distava che due isolati dalla sua casa – laboratorio tassidermico, eppure quel breve tragitto gli parve disagevole e faticoso quanto attraversare l’oceano. Mille dubbi s’insinuarono nella sua mente. La lettera, nella tasca interna della giacca di foggia antica, gli pesava sul cuore.

Ma finalmente, ecco il portone di casa Novotis. Con mano tremante Augusto suonò il campanello. Chi avrebbe aperto? Il borgomastro, Adelia, oppure uno dei suoi tanti figli? La porta si socchiuse. Il convesso profilo di un corpo femminile si fece strada nella penombra. Augusto sussultò.

“Buongiorno signor Nigro. Cosa desidera?” La donna di servizio lo accolse con gentilezza nel vestibolo.

“Buongiorno. Volevo conferire con la signora Adelia, se possibile.”

Fu fatto accomodare nel tinello. La stanza era in perfetto ordine. Da qualche parte veniva odore di zuppa di porri e patate. Si udì un frusciare di vesti e un ticchettio di calzature femminili. Poi la porta si aprì e comparve la signora Novotis.

Augusto scattò in piedi. Invano cercò parole adatte nella sua testa, quelle che aveva provato e riprovato davanti allo specchio s’incagliavano nella sua bocca senza saliva. Allora si prostrò in un inchino e, senza osare guardarla negli occhi, le porse la lettera.

La signora Novotis la prese e nel prenderla gli sfiorò le dita. Augusto rabbrividì di un piacere segreto, indietreggiando di qualche passo. Adelia inforcò gli occhiali e lesse.

E cadde ai suoi piedi.

Ma non come avrebbe desiderato lui.

“E’ stato un colpo apoplettico” sentenziò il dottore. “Non è raro che accada in soggetti del tutto sani e vigorosi come la povera signora Adelia.”

E già che c’era, il borgomastro commissionò al signor Augusto le esequie della moglie.

La notte sopraggiunse improvvisa, tetra, sepolcrale.

E altrettanto improvviso, tetro e sepolcrale, sopraggiunse il giorno.

Le campane suonarono a morto. Celebravano lo sposalizio di una povera donna con la terra. Il signor Augusto trasalì. Nonostante centinaia di funerali alle sue spalle, era come se fosse la prima volta che le udiva. Quei rintocchi, mesti e desolati, s’incuneavano nel suo cuore, affondavano nelle oscurità della sua anima, pungolavano la fonte delle lacrime. La lettera ad Adelia era ritornata nella tasca interna della sua giacca di foggia antica e gli pesava tristemente sul cuore.

Augusto tornò a casa, scaldò l’acqua e si preparò il tè; la miscela sobria e vigorosa della Polvere da sparo (1) gli graffiò la gola ed egli ne fu rinfrancato. Poi si diresse al laboratorio e chiuse la porta. Ne riemerse soltanto nel cuore della notte, stanco e affamato, ma soddisfatto. Aveva fatto un ottimo lavoro.

Era stato indaffarato per tutto il pomeriggio e buona parte della notte. Aveva lavorato sulla signora Novotis. Non si era risparmiato. Aveva dato fondo a tutta la sua esperienza, a tutte le conoscenze arcane che, dalla notte dei tempi, attraversando l’antico Egitto, si tramandavano di padre in figlio, di generazione in generazione, per ridare la vita ai morti. L’aveva riportata allo stato di albedo, alla purezza primordiale, alla verginità. Alla giovinezza. Le donne hanno l’obbligo morale di farsi belle, anche le meno belle, anche da morte.

Neppure da viva la signora Adelia era stata più bella.

Ed eccola lì Adelia, gli occhi grandi, contornati di bistro, una cascata di capelli neri sul volto di alabastro, l’oro dei monili, il blu dei lapislazzuli. Una piccola Hatshepsut (2). E il signor Augusto Nigro si sentì più ricco e potente di un faraone.

Aveva tentato in tutti i modi di donarle il suo amore, di rompere il muro che la separava da lei, di aprire una breccia per far entrare la luce. Non ci era riuscito e la signora Adelia era morta prima di poter conoscere la sua risposta.

Ma la morte era giunta ancora, questa volta in suo aiuto.

Qualche ora prima delle esequie era deceduta una vecchia megera senza parenti e, in un lampo di genio, quello che ci colpisce soltanto nelle ore più disperate, Augusto aveva rinchiuso il suo corpo disfatto dal tempo e dalle fatiche nella cassa destinata ad Adelia. Nessuno avrebbe mai scoperto il macabro scambio.

Augusto sollevò Adelia e la strinse a sé. I suoi capelli gli solleticavano il naso adunco. Useret-kau nekeret-kau (3). Ma la divina apparizione era priva di forza vitale. Il natron (4) si congelava nelle sue vene al posto del sangue. I seni erano duri e puntuti come piccole piramidi. Il cadavere della signora Novotis gli scivolava dalle braccia ossute e non voleva saperne di ricambiare il suo affetto.

La sua dimora non era fra le braccia di Augusto, la sua dimora era fra le stelle, come Orione nel ventre della notte.

Augusto si affacciò alla finestra. Sirio sorgeva nel grande respiro del cielo.

Passarono gli anni. Molta gente nacque e molta gente morì nel villaggio. Gli affari di Augusto andavano a gonfie vele, come sempre. Il borgomastro perse le elezioni e un altro cittadino prese il suo posto. L’erba cresceva sulla tomba di Adelia.

Augusto tornò dal suo solito funerale del pomeriggio. Mise sul fuoco la teiera e attese che l'acqua bollisse. Versò il tè in due tazze, prese un vassoio ed entrò nel salone. Il fuoco del camino inondava di bagliori rossastri i vecchi arredi e si rifletteva sul cristallo della credenza.

Si accomodò sul divano davanti al fuoco e sorrise forse per la prima volta in vita sua. Le finestre erano oscurate da tendaggi pesanti come drappi funebri. Nessuno avrebbe potuto guardare all’interno della sua casa. Ma se per un caso fortuito e davvero originale, un raro colpo di vento in una vallata in cui l’aria era sempre calma avesse scostato per un attimo le tende e permesso alla luce della luna di penetrare, si sarebbe visto il signor Augusto Nigro e la signora Adelia Novotis conversare amabilmente davanti al caminetto al tepore delle fiamme.



  1. Gunpowder, in inglese. Miscela di tè cinese particolarmente forte, dal sapore intenso e pungente.
  2. E’ stata il quinto faraone della XVIII dinastia, la prima e l’ultima donna nella storia dell’antico Egitto a detenere il titolo reale.
  3. In antico egizio, colma della forza, divina nell’apparizione. Il termine ka stava a indicare la forza vitale, era la parte dell’anima preposta a conservare i ricordi e i sentimenti della vita terrena. Il ka era destinato a riunirsi al corpo dopo la morte, a differenza del ba, che avrebbe trovato dimora fra le stelle.
  4. Carbonato decaidrato di sodio, usato nelle pratiche d’imbalsamazione.

NdA La frase “C’è una crepa in ogni cosa. E’ da lì che entra la luce.” nella lettera del signor Nigro è in realtà da attribuirsi a Leonard Cohen.



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3 commenti:

  1. Il secondo racconto della serie dei colori. Oggi tocca al nero.
    Il nero, a differenza del bianco, assorbe tutte le radiazioni luminose e nessuna luce visibile raggiunge l’occhio umano. Il nero ha sempre una connotazione negativa, è associato alla tristezza, alla tragedia, alla morte. Per i Masai è, invece, simbolo di prosperità, perché è da loro collegato al colore delle nuvole che portano la pioggia; il nero inoltre è l’altra fazione degli scacchi, quella che subisce il diritto di prima mossa del bianco. Il nero è anche il Caos primordiale, che precedette la Creazione preordinata al Cosmòs, essendovi prima d’allora nient’altro che le tenebre e ogni cosa era opaca e indistinta. Anche nell’antico Egitto era il colore della prosperità, perché richiamava la Terra Nera del Nilo, il nutriente limo ed era quindi associato alla fertilità. Nell’antica Cina era il simbolo del Nord e dell’Acqua. E’ anche il colore della palla numero 8 del gioco del biliardo, il mio numero portafortuna. E inoltre, il nero dell’avorio, il noir, la negromanzia (da morto), il gotico, l’art goth (l’argot, il vernacolo francese), la mano nera, l’Africa nera, il lavoro nero, la disperazione più nera.

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  2. Il titolo del racconto viene da un periodo della mia vita che ho soprannominato “agosto nero”.

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  3. Il tema de Il signor Augusto Nigro è la fisicità della morte, descritta in tutte le sue manifestazioni tanatologiche, il mero fenomeno fisiologico del decesso, governato da regole precise e immutabili. Non è tuttavia questa la componente del thanatòs che genera il dolore, ma l'idea che ne è causa, la separazione, cioè, l'allontanamento, la dispersione nel tempo e nello spazio. La disgregazione e la scomparsa.

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