sabato 23 gennaio 2016

I falsi miti del Risorgimento




Proviamo a sfatare i falsi miti del Risorgimento, quelli che ci hanno propinato a scuola avvelenando la Storia.



Mito n. 1 “Il Regno delle due Sicilie era una sorta di terra del demonio.

Il Regno delle due Sicilie era florido e potente, con i conti in regola e in avanzo di bilancio. Possedeva i due terzi dell'oro di tutti gli altri stati preunitari, 445,2 milioni di lire, contro i soli 27 milioni del Regno di Sardegna. Tant'è vero che le casse meridionali furono utilizzate per pagare il debito pubblico contratto dai piemontesi per finanziare le loro guerre. Forse questa fu la vera ragione dell'Unità d'Italia.

Quando Francesco II, l'ultimo sovrano meridionale, partì da Gaeta, lasciò tutto il suo patrimonio personale a Napoli e integre le casse dello Stato; quando i Savoia furono cacciati dall'Italia in seguito al referendum per l'abolizione della monarchia, partirono per la Svizzera insieme a diciotto treni colmi di denaro e preziosi. La differenza fra le due casate reali non è, purtroppo, soltanto questione di stile.

Le industrie meridionali occupavano 1.600.000 operai, nel resto d'Italia ve n'erano, in tutto, poco più di un milione; non c'era alcun divario in termini di prodotto interno lordo fra Nord e Sud (Il prodotto delle regioni e il divario Nord-Sud in Italia (1861-2004) di Vittorio Daniele e Paolo Malanima, il primo ricercatore dell'Università della Calabria di Arcavacata, bellissimo nome di origine greca).

Le flotte mercantili collegavano Napoli con l'America e si spinsero fino in Australia, l'Armata di mare era la prima flotta del Mediterraneo dopo quella inglese, gli Stati Uniti commissionavano navi da guerra ai cantieri navali di Castellammare di Stabia, non vi erano napoletani emigrati in altri Regni, ma il Regno di Napoli era pieno di immigranti dalla Toscana.

All'Esposizione universale di Parigi del 1856, il Regno delle due Sicilie risultò il terzo paese industrializzato al mondo! Al primo posto c'era la Gran Bretagna e al secondo, la Francia.

Soltanto nel 1921 il Mezzogiorno diventò un'area in ritardo di sviluppo, dopo sessanta lunghi anni di sfruttamento (tassazione elevatissima e nessuna spesa pubblica per il Sud).

La questione meridionale prima dell'Unità d'Italia non esisteva, l'ha creata il Nord.



Mito n. 2 “I Borbone erano dei reazionari.

Non è assolutamente vero. Anzi, essi erano pienamente consapevoli di dover evitare la contrapposizione fra le due Nazioni del Regno, quella borghese e quella popolare, ma anche tra quella Napoletana e quella Siciliana (L'arma della memoria, Paolo Mieli). La monarchia sabauda, quella si era “codina e rivoluzionaria”.



Mito n. 3 “I liberali meridionali erano uniti nella fratellanza con quelli settentrionali.

Ma quando mai! Spesso si scontrarono aspramente. Più in generale, l'idea di Italia come nazione era sconosciuta ai più, era soltanto un'utopia, un sogno assurdo e irraggiungibile che agitava le notti insonni di chiassosi e collerici patrioti settentrionali.

E secondo me, l'Unità non era affatto ineluttabile. Fu più un caso fortuito che una reale intenzione.

Secondo molti storiografi, soprattutto stranieri (Dennis Mac Smith e Martin Clark), che sono i più oggettivi e quindi attendibili, il Mezzogiorno d'Italia avrebbe avuto migliori chances se fosse rimasto uno Stato indipendente.



Mito n. 4 “L'idea di Patria era a quei tempi già forte e radicato.

Niente affatto. Pare che, all'opposto, il concetto di Italia venne costruito dopo averla fatta. “Fatta l'Italia, ora bisogna fare gli Italiani”, si disse.

Ma una parte degli Italiani non sapeva cosa fosse l'Italia, “Mio padre era borbonico perchè non credeva, non immaginava davvero l'unità” (Francesco Saverio Nitti, Nord e Sud), l'Italia era come un pianeta sconosciuto in una galassia lontana, mentre un'altra parte non ne voleva sapere, tanto che ci vollero oltre dieci anni di dura occupazione militare per convincerli (100.000 soldati piemontesi e più morti di tutte le battaglie per l'Unità d'Italia messe insieme). “A Italiani (meridionali) che, rimanendo Italiani, non volessero unirsi a noi, non abbiamo diritto di dare archibusate.” disse con rara onestà intellettuale Massimo d'Azeglio. Questi anni sono passati alla storia come Repressione del Brigantaggio, ma in realtà la loro storia è ancora tutta da scrivere, anche se è difficile. Gli atti relativi alla lotta contro i briganti sono ancora coperti dal segreto di stato e non sono accessibili agli studiosi. Cosa bisogna nascondere dopo oltre 150 anni?



Mito n. 5 “I politici moderati del Nord furono moderati nei confronti del Sud.

Mai accaduto.

I beduini a confronto di questi caffoni (sono) fior di civiltà”, scriveva Luigi Carlo Farini e Marco Minghetti gli faceva eco: “Credo che un po' di metodo soldatesco sia medicina salutare a codesto popolo.

E se questi erano i moderati, non oso immaginare cosa potessero essere gli estremisti. Si salvarono, forse, soltanto i moderati meridionali, che si affrettarono a respingere l'idea che il Sud arretrato fosse da considerarsi territorio di conquista del Nord progredito e a negare che il suo Popolo fosse come un bambino da educare con le cattive.

Moderati che non seppero riconoscere compatrioti nei volti di vecchi, donne e bambini, torturati, violentati e a volte bruciati vivi nei massacri di Montefalcione, Pontelandolfo e Casalduni.



Mito n. 6 “La mafia era preesistente all'Unità d'Italia.

Come dicevo nello sfatare il Mito n. 2, era in atto uno scontro, tutto interno al Regno delle due Sicilie, fra le due Nazioni che lo componevano, un grande conflitto fra Napoli e la Sicilia, quest'ultima autonomista, insofferente e determinata a liberarsi dal giogo napolitano. Non è affatto un caso se la spedizione dei Mille ebbe inizio proprio dall'isola.

Le camicie rosse furono agevolate da una protomafia data per esistente già nel 1834 sotto forma di “unioni o fratellanze, capitanate da possidenti o arcipreti(!)” (Pietro Calà Ulloa, magistrato del Regno delle Due Sicilie, potrebbe essere considerato il primo magistrato antimafia della storia), veri e propri piccoli governi che gestivano i rapporti civili e la giustizia, sostituendosi all'autorità del Re. Ma fu proprio durante l'epopea garibaldina che la mafia assunse quel controllo totale del territorio, che avrebbe mantenuto anche nell'Italia post-unitaria.

Per terminare il discorso sull'astio dei Siciliani verso il Regno delle due Sicilie, aggiungo la notizia riportata da Salvatore Lupo in L'unificazione italiana, secondo cui Giuseppe Beoti, una camicia rossa garibaldina, riferì che alcuni preti e frati promettevano un posto in Paradiso per chiunque avesse combattuto contro i Borboni per la Sicilia. Predicatori di una jihad tutta meridionale?



E per finire - e qui viene da piangere – l'Unità d'Italia fu proclamata nel parlamento di Torino il 17 marzo 1861 in francese, la lingua ufficiale dell'ex Regno Sardo.


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