sabato 5 dicembre 2015

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Farò domande al cielo, alla terra, alle nuvole

E tu mi risponderai

Con le gocce di pioggia e i fiocchi di neve

E il sussurro del vento tra le foglie

Sarà la tua voce

 

Mio padre non parlava molto, agiva. E io imparavo, seguendo il suo esempio. Ho imparato più dai suoi silenzi che dalle sue parole.

E anche quando se n’è andato, lo ha fatto in silenzio.

Io invece non potevo tacere. Non lo so fare.

Dovevo scrivere e ho scritto.

Ho cercato di essere tuo figlio. Ho fatto del mio meglio. Spero di non averti deluso. Tu non l’hai fatto mai. A modo tuo, ci sei sempre stato, anche se a volte non lo sapevo. Tutto quello che sono, lo devo a te. Ma ora devo fare a meno di te, ora devo lasciarti andare.

Ora devo lasciarti andare.

E’ su questa frase che mi pianto. Ogni volta. IO NON VOGLIO LASCIARTI ANDARE.

A chi sto scrivendo? A me stesso, credo. Una lettera aperta a quello che sarò fra una manciata d’anni veloci come frecce. I miei figli mi hanno chiesto se stavo piangendo. Ho risposto che mi è venuto il raffreddore.

Un raffreddore che non mi passerà mai.

Sono stato al suo funerale. Mi sono fatto il viaggio d’andata piangendo, e piangendo il viaggio di ritorno. Gli automobilisti pensavano: chi è quel folle che ci supera a centosessantachilometriloranonunodimeno con le lacrime agli occhi per l’ebbrezza della velocità?

Un’inserviente all’autogrill mi ha guardato, per un attimo interdetta, poi ha abbozzato un sorriso. Deve aver capito. Ne vede tanta di gente come me, ogni giorno, inseguire un dolore lungo l’autostrada.

Gli autogrill sono ottimi punti di osservazione sulla vita.

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