venerdì 9 ottobre 2015

Settembre


 

Eccomi qua, ancora solo, insonne, a scrivere di altre pene riflesse nello specchio del mio cuore. Non è che abbia tanta voglia di scrivere, ma non ho altro da fare. La finestra di fronte è un occhio serrato sulla notte, la porta chiusa, la luce spenta.

Questa stanza è una cella. Vorrei strappare le lenzuola, calarmi dalla finestra e raggiungere la spiaggia; e da lì nuotare fino al mare aperto. Libero, finalmente. Via di qui.

Eh già. La mia vita è una prigione. E quando ho trovato la chiave, invece di usarla, l’ho fatta a pezzi. Ho avuto paura, sono stato un vigliacco, lo ammetto, sarei dovuto andare fino in fondo, bere l’amaro calice fino all’ultima goccia, quella più amara di tutte, e fare a pezzi questa rappresentazione teatrale, soltanto il simulacro di una vita reale. Non devo preoccuparmi di quello che scrivo, né di quello che faccio. Lei non verrà. Si è girata dall’altra parte e già dorme.

Me la ricordo bene quella notte, quando si reggeva in piedi a malapena e m’implorava di non lasciarla, di stare con lei ancora un po’. Avrebbe fatto qualunque cosa a qualunque costo pur di tenermi con sé. Che strano, è esattamente quello che ha detto l’altra, ma mi è parsa più sincera.

Mia dolce e gentile signora, potrei parlarti dell’usignolo che strazia la notte con il suo canto di dolore e dei molti uccelli notturni che incantano l’oscurità con i loro versi. Potrei parlarti di tutto questo per tutta la notte e il giorno seguente e nei giorni, nei mesi e negli anni a venire, ma dubito che capiresti.

E adesso ho in testa lei, le sue mani, la sua bocca, i suoi seni. La sua voce stanca e roca. I suoi occhi. Non farei nessuna fatica ad averla, basterebbe comporre il suo numero. Eppure sono ancora qui, sul divano, un’altra notte da solo.

Avverto dei rumori nell’altra stanza, ma non devo farmi illusioni. Lei non verrà. Non verrà a vedere perché non le sono accanto nel nostro letto, non verrà a vedere se sono ancora vivo. Sarebbe più probabile che si preoccupasse di me la signora della porta accanto, che oggi pomeriggio mi ha fissato a lungo, piuttosto che lei.

Ero pronto ad andarmene, lo confesso, un piede nella staffa, l’altro sospeso nel vuoto, per galoppare fino a lei, per gettarmi fra le sue braccia, a capofitto nel suo ventre. Avrei fatto sbocciare un fiore nel cuore di una donna e avrei squartato quello di un’altra. Succede tutti i giorni.

Mi ha fermato soltanto la sua disperazione, che non credevo così vasta, abnorme, inaspettata. O forse, era una farsa, una tragedia abilmente inscenata? Tutto per salvare le apparenze, la normalità. Che ipocrisia. Mi ha dato più l’altra in due giorni, che lei negli ultimi due anni. Sarebbe stata pronta a sacrificare tutto per me, la sua dignità, la sua esistenza, il suo infinito, tutto mi avrebbe donato, se solo avessi pronunciato la parola magica. Questa qui, invece, non sacrifica neppure un’ora di sonno per verificare se il suo uomo è davvero ancora suo.

Dio, non riesco a togliermela dalla testa. Che voglia ho di sentire la sua voce, di baciarle la bocca, di spegnere il cervello e affogare tutti i miei pensieri fra le sue braccia. Chissà se c’è ancora un posto per me nel suo cuore?

Mi era piaciuta la notte in cui era venuta a riprendermi. Decisa e determinata. E spaventosamente bella, il volto acceso dall’ira. L’avrei presa là per là sul tavolo del soggiorno. Aveva premesso: “Farei qualunque cosa”. Ma il suo “qualunque cosa” è stato ben poca cosa, mentre il “qualunque cosa” dell’altra comprendeva la sua stessa vita. Se il buongiorno si vede dal mattino, credo proprio che questo giorno che è sorto tramonterà molto prima del previsto.

Le dirò: “Ciao, perdonami… non volevo importunarti. E’ solo che… Ci ho provato in tutti i modi, credimi… ma non riesco a dimenticarti.”

Sarebbe stato bello riscoprirsi, quasi per gioco, con la passione e la leggerezza dei nostri anni migliori. Peccato, il cumulo delle occasioni perdute stanotte ha un macigno in più.

Scartoccio la scatola dei profilattici, m’ero illuso di usarli stanotte, che dico, mi ero illuso di consumarli tutti in una notte sola! Apro il contenitore e li tiro fuori. Eccoli qui, belli allineati, luccicanti sopra il mio tavolino. Sembrano tanti cioccolatini. Se ne potrebbero fare palloncini, gavettoni da tirare addosso ai ragazzi che rientrano dalla discoteca. Oh ecco il foglio delle istruzioni. Ma a che serve? Tutti sanno come si fa. Ma guarda, ci sono anche i disegni. Così anche gli analfabeti non hanno più scuse. Eppure, mi perdo a leggere, come se potessi trovare il senso della vita nelle istruzioni di una scatola di condom.

“Cerca la canzone di settembre, il mese in cui ci rivedremo.”

E’ già settembre e non sono tornato. Lei continua ad aspettarmi alla finestra. Il sole non scalda più come ad agosto, la notte scende prima e il buio la sorprende con una lacrima solitaria.

Settembre lontano, dalle un bacio per me, i suoi lunghi capelli non li rivedrò più…

Arriverà l’inverno e io non ci sarò a scaldarla. Verrà Natale e non avrà il mio regalo, busserà alla porta il gelido gennaio e non le darò il primo bacio dell’anno. Io non ci sarò.

E questo mi strazia il cuore.

 

COPYRIGHT 2013 ANGELO MEDICI

Tutti i diritti riservati

Riproduzione vietata

Nessun commento:

Posta un commento