lunedì 24 marzo 2014

Ancora sull'indipendenza del Veneto



Credevo che i Veneti fossero intelligenti, almeno è quello che mi auguravo nel precedente post Indipendenza veneta?. Evidentemente mi sbagliavo. Al referendum per l’indipendenza del Veneto – a questo punto, è meglio chiamarlo per quello che è, un sondaggio on line, con meccanismi non molto diversi da una ricerca di mercato – hanno partecipato 2.360.235 votanti, il 73% della popolazione veneta (strano, a me non sono arrivati i codici per votare, nonostante siano quindici anni che abito in Veneto. Agli stranieri dopo dieci anni di residenza danno la cittadinanza italiana!), l’89% di chi ha votato si è espresso a favore del distacco del Veneto dall’Italia, mentre solo il 10,9% ha detto no (fonte ANSA). Ben 2.102.969 veneti, più della metà della popolazione, hanno detto di volere il Veneto, stato autonomo e indipendente.

Ma la consultazione on line prevedeva anche altre domande e le risposte ottenute, credo, siano molto interessanti. Dopo aver risposto al primo quesito sull’indipendenza, si passava al quesito se il Veneto, una volta divenuto autonomo, dovesse restare nell’Unione europea, nell’area euro e nella Nato. Ebbene, a queste domande, seppure con percentuali diverse, più della metà dei veneti ha risposto si (fonte Il Gazzettino).

Dunque, i Veneti vogliono uno Stato indipendente, membro dell’Unione europea e della NATO, senza abbandonare l’euro. Ebbene, se queste sono le premesse del nuovo Stato, credo che si intravedano già le tracce della sua dissoluzione.

Senza dilungarmi troppo, riprendo alcuni passaggi del mio post precedente, sulle conseguenze di una secessione della regione veneta.

Punto primo. Il Veneto autonomo rispetto all’Italia e al resto del Nord, soprattutto oggi, non è più la poderosa forza economico – produttiva degli anni passati e, restando in Europa e nell’area euro, dovrebbe sottostare al patto di stabilità, ai vincoli di spesa pubblica e alle politiche monetarie della Banca centrale europea.

Punto secondo. Altre regioni o aree territoriali potrebbero seguire l’esempio del Veneto. L’Italia si dissolverebbe, si scioglierebbe come neve al sole. Anche il Mezzogiorno conquisterebbe l’indipendenza, ma a differenza del Veneto, non avrebbe la forza economica per stare in Europa. Quindi, tornerebbe a battere moneta propria, fortemente svalutata rispetto all’euro e vedrebbe incrementare in misura esponenziale le esportazioni, ma anche il consumo interno, se imponesse dazi doganali ai prodotti in arrivo da altre Regioni, ormai Stati indipendenti, come il Veneto. Quindi, il Veneto continuerebbe ad avere le mani legate dai vincoli dell’Unione europea, dalla Banca Centrale Europea e dovrebbe moltiplicare i sacrifici per continuare a stare nell’euro, senza poter più commerciare con il resto d’Italia.

Punto terzo. Niente più trasferimenti erariali, infrastrutture, fondi e contributi dallo Stato centrale che, checchè se ne dica, sono abbastanza consistenti. In ogni caso, ne riceve più di molte regioni meridionali. Il Veneto se la dovrebbe cavare con le proprie gambe. E dubito che ce la farebbe.

Punto quarto. Sorpresa! Il resto d’Italia non sentirà la vostra mancanza. Che sollievo! Non sentiremo più parlare di Liga veneta, Indipendentisti veneti, Polisia veneta, campanili assaltati. Non vedremo più in giro alcuni patetici personaggi, non sentiremo più strampalate teorie separatiste. Avrete il Veneto e ve lo terrete. Ma non sarà più come prima, sarà molto più dura. Allenatevi a pedalare!

Punto quinto. Di sicuro, una volta ottenuta l’indipendenza, caccerete gli stranieri non comunitari (quelli comunitari, mi dispiace, ma dovrete tenerveli se vorrete stare nella UE), poi noi meridionali (quei pochi che non se ne saranno già andati prima). Quando avrete esaurito la gente da sbattere fuori, è plausibile che vi farete guerra tra voi, Veneziani contro Padovani, Veronesi contro Veneziani, riprendendo abitudini secolari e magari, non contenti, vi farete guerra quartiere contro quartiere, strada contro strada, condominio contro condominio.

Io credo che finirete per rimpiangere i vecchi tempi della Repubblica Italiana e implorerete di tornare in Italia, supplicando una confederazione, un’associazione o poco più!

Ma torniamo al referendum, o sondaggio, se preferite. Al di là delle cifre, delle statistiche e dell’inesistenza sul piano giuridico della consultazione, provo una grande tristezza per il fatto che si possa solo concepire l’idea di indire un referendum separatista.

Un’idea del genere si fonda sull’odio, sull’intolleranza verso ogni forma di diversità, sul segregazionismo, sulla determinazione, cioè, di volersi tenere separati e lontani da tutti quelli che non la pensano come noi, che non agiscono come noi, che non sono come noi.

Il mondo è bello perché è vario. Il mondo è bello perché un artista di nome Dio l’ha ritratto in milioni di colori. Ridurlo a soli due colori, il bianco e il nero, cancellando tutti gli altri, o, peggio, fonderli in un triste e indefinito grigio, vuol dire privarsi della bellezza, fare a meno dello splendore, vuol dire castrarsi con le proprie mani.

Oggi la mia tristezza è profonda, la mia mestizia è a livelli siderali.

Ma, un altro sentimento si sta facendo strada in me, un’emozione primitiva, facile, a buon mercato. Quei 2.102.969 veneti che hanno risposto il si dell’odio alla domanda dell’odio mi fanno rabbia. Allo stesso modo, mi sento vicino a quei 257.756 veneti che hanno risposto con il no dell’amore alla stessa domanda. Purtroppo sono pochi, sono molto pochi.

E così, se prevale l’odio dei 2.102.969, sull’amore dei 257.756, prevale anche il mio. Non poteva essere diversamente. Odio genera odio.

A quei due milioni e rotti ogni italiano vorrebbe dire: andate pure, quella è la porta, andate a quel paese, il vostro e non ne uscite più.

E neppure io voglio avere più nulla a che fare con voi, tronco ogni rapporto, mi limiterò a prendere quello che mi serve: donne e denaro, di tutto il resto non m’importa, tenetevelo pure.

Ammesso che lo abbiate.


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