venerdì 14 marzo 2014

Quote rosa?



 

In un mondo normale, in un Paese normale, la valutazione delle persone dovrebbe avvenire per merito, capacità, intelletto e non vi sarebbe il bisogno di quote per garantire in politica la rappresentanza di entrambi i sessi, ma anche le pari opportunità nel lavoro e nella vita.

Ma il pianeta sul quale abbiamo malauguratamente messo piede è sempre più schizofrenico, incomprensibile e incontrollabile; il nostro è un Paese che, definire anormale è frutto della cecità e sordità tipiche di chi ama alla follia, e, per questo motivo, per tentare di ristabilire un minimo di equilibrio tra uomo e donna nella scelta delle persone dalle quali farci rappresentare, sentiamo la necessità di ripartire la rappresentanza politica in quote garantite in base al sesso. E così, nella conquista dei seggi in Parlamento, sentiremo sempre più spesso dire: questo è riservato alle donne, questo agli uomini, finiremo per creare delle riserve indiane, dei parchi protetti. Ma a me, eccettuati i parcheggi per disabili, i posti riservati fanno ribrezzo, mi fanno venire in mente l’apartheid, la terza classe delle navi degli emigranti, i potenti e i furbi, che a volte sono la stessa cosa, con il posto prenotato e gli sfigati in piedi, senza prenotazione, i ricchi e i bianchi ad accaparrarsi i posti migliori e i poveri e i neri costretti a sistemarsi nei posti peggiori in fondo all’autobus.

Badate bene che qui l’ideologia non c’entra nulla, l’uguaglianza non è né di destra né di sinistra, ne va, invece, del bene comune. E attenzione, la democrazia funziona bene con le persone intelligenti, in mano agli stupidi, che non sanno bene come maneggiarla e cosa farne di diritti e doveri, diventa estremamente pericolosa.

Io credo che la parità di genere debba stare prima nella testa delle persone, che nelle percentuali. Ricordo che Einstein diceva che la mente è come un paracadute, se non si apre non funziona. Se non apriamo la mente, precipitiamo nell’abisso dell’ignoranza e dell’ottusità. Dobbiamo quindi mantenere la mente aperta, essere curiosi, perspicaci, fantasiosi, perché solo così si trovano risposte ai problemi, solo così possiamo crescere. E crescere significa aver risolto un problema, metterselo alle spalle. La parità di genere è dunque questione di crescita e di cultura, di apertura mentale e di sensibilità.

Aprire la mente vuol dire varcare gli angusti confini del perbenismo e del politicamente corretto, superare i propri limiti, i condizionamenti sociali, significa avere coraggio. Vuol dire, per un uomo, guardare una donna e vedere un altro rappresentante del genere umano, un rappresentante molto carino, se vogliamo, ma non un essere inferiore, al quale può imporre le proprie decisioni e usarne le affascinanti forme per aumentare le vendite o fare audience.

Ma credo che abbiamo smesso di crescere in questo Paese.

Se per crescita gli economisti intendono l’innalzamento degli indicatori macro – economici (tasso di occupazione, prodotto interno lordo, valore degli scambi commerciali), lo sviluppo misura, invece, l’incremento della cultura, del benessere, del welfare, indica quanti libri si leggono, quanti film si guardano, a quanti concerti andiamo, come si vive in una determinata nazione. Ahimè, non solo la crescita, ma anche lo sviluppo si sono arrestati nel nostro affascinante e disordinato Paese.

Quindi, in un quadro desolante come il nostro, capisco come alcuni credano che l’unica soluzione per garantire la parità di genere, sotto forma di pari rappresentanza politica, sia l’adozione delle quote.

Ma, diamo un’occhiata alla Costituzione della Repubblica italiana che, a detta di molti, è la più bella del mondo, anche se, secondo me, è bella quanto può esserlo una donna molto avanti negli anni, che avrebbe bisogno di qualche ritocco per tornare agli antichi splendori, un intervento leggero e intelligente, che non stravolga la sua bellezza originale, ma che, anzi, la esalti ancor più.

L’articolo 3 comma 1 della Costituzione, quello sull’uguaglianza formale, dice, senza possibilità di equivoco, che uomini e donne sono uguali davanti alla legge.

Il comma successivo, quello dell’uguaglianza sostanziale, stabilisce invece, che lo Stato deve eliminare tutti gli ostacoli sulla strada dell’uguaglianza, che impediscono lo sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Quello che si dice parlare chiaro. Fa male constatare che le pari opportunità le avevano più chiare i padri costituenti nel 1948, che noi nel 2014.

Non voglio passare per maschilista, vi assicuro che non lo sono. Però, quelle poche o tante donne che hanno votato contro l’introduzione delle quote rosa, credo siano state più intelligenti delle altre loro colleghe in Parlamento che, invece, hanno votato a favore, perché hanno capito che non è tagliando a fette il potere che si garantiscono le pari opportunità. Se ci dividiamo, perdiamo tutti, ma soprattutto, abbiamo perso un’altra occasione di crescere.

Ma, summum jus, summa injuria, dicevano i romani, nella loro infinita saggezza. Più si tende alla giustizia, maggiormente si ottiene il risultato contrario. Come a dire, a spaccare il capello in quattro, non resta più neppure il capello.
Infine, consentitemi una domanda. Provocatoria. I transgender, i transessuali e, in generale, il sesso di chi non si sente di appartenere ad alcun sesso, di chi non si sente né uomo né donna, in quale quota lo mettiamo?

Nessun commento:

Posta un commento