lunedì 27 maggio 2013

Discorso sulle quattro nobili verità

Le quattro nobili verità, i tre segni dell’essere, il nobile ottuplice sentiero, i tre rifugi, i cinque precetti. Sono la sintesi del dharma, l’insegnamento del Buddha. Il totale fa 23, il numero della follia, secondo la smorfia napoletana e folle si sente il neofita, che durante la meditazione riesce a raggiungere uno stato di coscienza diverso, disancorato da tutte le false convinzioni e convenzioni del mondo.
La prima verità è Dhuka, la frustrazione cronica che proviamo nell’essere al mondo e non sapere, nè poterne risolvere i problemi, che per definizione, sono senza soluzione.
Ma la prima verità introduce subito ai tre segni dell’essere.
Il primo segno è appunto, dhuka, il secondo è l’impermanenza, cioè l’ostinazione a voler rendere permanenti e definitive le cose che, sempre per definizione, non lo sono, data la caducità del mondo, il terzo è Atman, il non sé, che consiste nel non percepire il sé, nel percepirsi come essere singolo, come atomo e non come parte del tutto. I maestri dicono infatti, che il (cioè, l’essenza divina) si è divertito a frazionarsi, a disperdersi in mille rivoli per tutto l’universo.
La seconda delle Quattro Nobili Verità è Thrishna, ovvero la fissazione per un’idea, una persona, un oggetto, l’eccessivo attaccamento al mondo, che dobbiamo superare.
La terza Verità è Nirvana. Nirvana è letteralmente espirare, che richiama quasi immediatamente la morte. Il Nirvana è quello che potremo definire il ‘paradiso’ per il buddhismo, ma è più propriamente lo stato di grazia, raggiunto il quale, conseguita l’illuminazione, che altro non è se non capire come stanno veramente le cose e cioè che noi siamo parte dell’Essere, apparteniamo al Tutto, siamo il Sé, non siamo più costretti a ricadere nel Samsara, cioè il ciclo ininterrotto di vita e morte, di morte e rinascita, concetto molto simile al phava chakra, ossia la ruota del divenire degli induisti. Secondo questi ultimi, se immaginiamo una ruota divisa in sei spicchi, al vertice ci sono i deva, gli esseri angelici, quasi divinità, in fondo in basso, ci sono i naraka, esseri imperfetti, quasi demoniaci, poi, procedendo da sinistra verso l’altro, incontriamo i preta, che sono gli esseri preda dell’imperfezione, salendo ancora, arriviamo agli esseri umani e poi torniamo ai deva. Se dai naraka risaliamo verso l’alto, stavolta da destra, incontriamo subito gli animali, poi gli asara e infine, sempre i deva in cima al vertice.
Ma, secondo i buddisti, l’obiettivo non è tanto risalire per vivere meglio in categorie superiori, come i deva, ma raggiungere l’equilibrio, che è nel mezzo della ruota, nel mozzo, cioè nel conseguire uno stato in cui non si è né naraka, né preta, nè essere umano, né animale, né asara e neppure deva; in poche parole, non ritornare più al Samsara ed al ciclo infinito di nascita, morte e rinascita, ovvero, la beatitudine in sole sette lettere: NIRVANA. Il Nirvana esiste in quanto c’è la Samsara e viceversa, poiché esse sono parti, speculari e simmetriche del Tutto.
Ma dicevamo poc’anzi che il significato profondo di Nirvana è respiro e i buddisti, paragonando la vita alla respirazione, sostengono che, se ti attacchi alla vita, la perdi, se la lasci andare, essa ritorna. Chi trattiene il respiro, chi si aggrappa agli atomi d’ossigeno e non vuole lasciarli andare, non vive più a lungo, ma finisce per morire d’asfissia, chi invece espira, emette il fiato, lascia andare l’aria, non per questo muore, ben sapendo che essa tornerà ancora in una nuova inspirazione.
La quarta Verità è Marga, ossia il Sentiero, che si chiama più esattamente Nobile Ottuplice Sentiero.
Il Nobile Ottuplice Sentiero è suddiviso in tre gruppi, tutti caratterizzati dall’aggettivo giusto, ma legato a concetti diversi.
Il primo gruppo esprime il concetto di guardare, osservare, il modo giusto di vedere le cose. E’ legato alla categoria della saggezza ed ha la caratteristica della staticità, ma anche della comprensione, che potremo meglio definire come ‘contemplazione’. Esso racchiude i primi tre sentieri: il giusto punto di vista e la retta intenzione, cioè il desiderare il superamento dell’avidità, della brama di vivere.
Il secondo gruppo attiene invece alla categoria della moralità ed esprime la nozione di comportamento, azione: il giusto comportarsi, il giusto agire, parlare bene. Vivere in equilibrio con se stessi, con gli altri, con la natura e con il mondo, evitando gli eccessi e di arrecare danno o sofferenza agli altri. Ma agire bene e comportarsi rettamente è molto, molto difficile ed i Tre Rifugi ed i Cinque Precetti ci aiutano a metterci sulla strada giusta.
Quando siamo perduti abbiamo bisogno di un rifugio per rimetterci in rotta e i buddisti ne sono ben dotati, ne hanno addirittura tre: il Buddha, colui che ha raggiunto l’illuminazione e ci fa da esempio, il Dharma, l’insegnamento che ci ha lasciato ed infine, la Sangha, cioè l’insieme, il collettivo, la comunità di tutti coloro che seguono il nostro stesso percorso, aiutandosi a vicenda.
I Cinque Precetti ci dettano testualmente le regole, indicando come comportarci. A questo punti azzarderei un paragone con i Dieci Comandamenti del cattolicesimo.
Il Primo precetto dispone di non uccidere altri esseri viventi, un parallelo quasi perfetto con il non uccidere cristiano. Solo che il divieto buddista è assoluto. Quante volte sacrifichiamo gli animali per nutrircene, per fare esperimenti, o semplicemente per divertimento? Oserei dire una strage degli innocenti. Eppure, si può essere perfetti cristiani anche se siamo scienziati vivisezionatori, andando a caccia o più semplicemente se ci cibiamo di carne o di pesce. I buddisti hanno invece un profondo rispetto per gli animali e per la natura in genere. Molti di essi, quasi tutti credo, sono vegetariani. Io non lo sono, ma ho il più grande rispetto per loro, perché non so rinunciare alla carne ed al pesce (vuoi mettere un bel panino imbottito di salame o una frittura mista di pesce?).
Il Secondo precetto invita a non essere preda delle passioni. Qui il discorso si complica, perché nella vita tutto è passione: l’arte, la politica, lo sport, il sesso e così via. Però, a ben vedere, non è corretto sostenere che il Secondo precetto ci vieti di avere passioni, siamo umani, sarebbe impossibile. Più semplicemente, il precetto intende dire che non dobbiamo essere preda delle passioni, totalmente inebetiti, assorbiti, affogati in esse, perché, se ciò accade, perdiamo di vista il nostro scopo, che è quello di raggiungere l’illuminazione. Ritengo che in questo precetto si possano raggruppare i comandamenti biblici del non fornicare, non desiderare la donna d’altri, non desiderare la roba d’altri.
Il Terzo precetto chiede di non dire cose non vere ed è analogo al comandamento di non rendere falsa testimonianza, quindi non mi dilungherei su questo, se non aggiungere che le falsità e la calunnia siano diventate lo sport più praticato del ventunesimo secolo, agevolate e non di poco da internet, i network e i social forum.
Il Quarto precetto suggerisce di non prendere cose che non ti siano state date, che equivale al non rubare dei cattolici.
L’ultimo precetto, il Quinto, non trova riscontro nella Bibbia. Esso ci chiede con molta semplicità di volerci bene un po’ di più e di non assumere cose che ci fanno male, in altre parole ci invita a non intossicarci, a non assumere sostanze stupefacenti e alcolici, ma anche a mangiare meno e meglio, cibarsi dei prodotti della natura, evitare la carne, i cibi raffinati, industriali, junk food, il cibo – spazzatura e le schifezze anglosassoni del mondo dei fast food. Ma anche a non sprecare il cibo, perché forse, da mangiare su questo pianeta ce n’è per tutti e non è più tollerabile che da una parte vi è chi muore di malattie legate all’eccessiva quantità  e scarsissima qualità del cibo che assume e dall’altra, chi muore letteralmente di fame!
Restano fuori dai parallelismi i comandamenti del santificare le feste, onorare il padre e la madre, non avere altri dei all’infuori di Dio e non bestemmiare. Secondo Sant’Agostino, Dio ci avrebbe dato i comandamenti per dimostrarci che non siamo in grado di rispettarli, soprattutto quest’ultimo, quello del non bestemmiare (e io, purtroppo, ne so qualcosa!), perché i peccati, l’errore ed il vizio sono insiti nell’animo umano. Se Dio ci avesse prescritto regole più facili da rispettare, noi non cadremmo mai nel peccato e non sapremo neppure cosa esso sia, pur vivendo perennemente nel vizio.
I Cinque Precetti, in sostanza, ci insegnano ad evitare tutti quei comportamenti che genererebbero notevoli conseguenze negative che, influendo sul karma, ci legherebbero inevitabilmente ancora di più al mondo ed alla sua caducità, impedendoci di raggiungere la liberazione.
Il terzo e ultimo gruppo del Nobile Ottuplice Sentiero appartiene alla categoria della meditazione. Esso richiede il retto impegno, ovvero, abbandonare le vie dell’eccesso e della perdizione e coltivare disposizioni d’animo in linea con l’universo e più vicine al Sé, la retta presenza, che consiste nel mantenere la mente libera, sgombra da pensieri inutili, affastellati l’uno sull’altro, pesanti orpelli che ci allontanano dalla Via, la mente priva di confusione, non influenzata dall’avidità e dalla bramosia delle cose del mondo e infine, la retta concentrazione, cioè la padronanza e consapevolezza di se durante la meditazione (che è molto difficile a farsi, durante la meditazione ci si perde molto spesso!).
Il Nobile Ottuplice Sentiero, nella simbologia del Buddismo, è rappresentato come la Ruota del Dharma (Dharma Chakra), una ruota con otto raggi, uno per ogni sentiero, che somiglia molto a un timone di nave d’altri tempo. E come quel timone governava le navi, così noi possiamo affidarci al Nobile Ottuplice Sentiero per percorrere rettamente le infinite e perigliose rotte dell’Essere.
Quello che mi piace nel buddismo è che nessuno viene ad ordinarti: pentiti, fai ammenda dei tuoi peccati ed a minacciarti le fiamme dell’inferno. Più semplicemente ti viene indicata una via, ti viene proposto un percorso, sei invitato a dare un’occhiata. Poi, se vuoi, prosegui, altrimenti fai come ti pare. Non c’è nel buddismo il concetto del peccato e del pentimento, ma quello del giusto comportamento e della meditazione, la riflessione sulle nostre azioni, perché,  come detto prima, esse hanno riflessi sul karma.
I buddisti sostengono che possiamo cercare di diventare asceti, ma senza fretta. Possiamo anche scegliere di perderci in una vita di vizi, passioni ed egoismo, tanto abbiamo tutto il tempo che vogliamo per raggiungere il Nirvana, abbiamo davanti a noi l’Eternità.

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