domenica 6 marzo 2016

Gli scarafaggi sanno volare?


Gregor Samsa, svegliandosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo.

Questo è il memorabile incipit de La metamorfosi di Franz Kafka. Poche righe, scritte come se si trattasse della normalità, ci precipitano nell'orrore.

Ma, secondo Vladimir Nabokov (1), l'autore di Lolita, Gregor Samsa non si accorse di una cosa, e lo scrittore non ne fa cenno.

Kafka è spesso reticente, non dice, e quello che dice non spiega, nascondendolo sotto uno strato di assurdità e anomalia. Il nostro Franz lavorava per contrazione e decostruzione. La sua era scrittura per sottrazione. Egli ci scaraventa dentro le sue storie e lì ci lascia a marcire, fra i mille dubbi che c'insinua nella mente, ma che non chiarirà.

A partire da un determinato scenario, egli spoglia il testo e lo scarifica fino all'osso, pare quasi impersonare nella letteratura il ruolo dell'aquila che dilania Prometeo incatenato alle rocce del Caucaso (Prometeo, 1918) o l'avvoltoio che assale il viandante (L'avvoltoio, 1920), ma invece di divorare le strutture interne o i piedi della narrazione, egli sottrae pluralità di significati alla scrittura, fino a gettarla sotto una nuova luce, tetra e sinistra, che il più delle volte si rivela insopportabile. Insopportabile perchè mette a nudo, sotto quella luce spietata, il dramma della natura umana alle prese con le angosce della modernità.

Siamo nel pieno degli incubi del Novecento. Kafka scrisse La metamorfosi nel 1912, di lì a poco sarebbero arrivati i massacri della Prima guerra mondiale, i regimi dittatoriali, e poi la Seconda guerra mondiale, i campi di sterminio, i gulag e le foibe, e questa serie nefasta di morte e distruzione non si è interrotta all'ingresso del nuovo millennio, anzi ne ha oltrepassato la soglia ed è proseguita con altre guerre, altri campi di concentramento e altri massacri. Il Secolo Breve, ma anche l'inizio del Secondo Millennio, a quanto è dato vedere, sono la crisi dell'individuo stritolato negli ingranaggi del collettivo, la spersonalizzazione, l'inquietudine, la colpa oggettiva, che scatena la punizione per un delitto che non conosciamo, non comprendiamo o non abbiamo commesso e la deumanizzazione: prendere un uomo e ridurlo a bestia, trasformarlo in qualcos'altro, attraverso l'incubo che diviene reale, l'esperimento del non-uomo nei lager (2). I tempi moderni sono una sorta di incubo, dal quale non riusciamo a svegliarci e l'incubo dal quale non sappiamo o non possiamo uscire, Borges lo chiama inferno.

Ma torniamo alla metamorfosi di Gregor Samsa e proviamo a scoprire anche noi quello che secondo Nabokov, Kafka non ci rivela.

Riposava sulla schiena, dura come una corazza, e sollevando un poco il capo vedeva il suo ventre arcuato, bruno e diviso in tanti segmenti ricurvi, in cima a cui la coperta da letto, vicina a scivolar via tutta, si manteneva a fatica. Le gambe, numerose e sottili da far pietà, rispetto alla sua corporatura normale, tremolavano senza tregua in un confuso luccichio dinanzi ai suoi occhi.

Abbiamo sempre pensato che Samsa si svegliasse trasformato in scarafaggio. E invece, non è così. Kafka non usa parole a caso, la sua descrizione è molto precisa, chirurgica, oserei dire. Sta parlando di una specie di coleottero gigantesco e rivoltante. Ma, ogni coleottero che si rispetti, sotto le elitre, che sono placche cornee del dorso, nasconde le ali.

Gregor Samsa poteva volare!

Poteva spiccare il volo e guardare dall'alto la sua piccola vita di commesso viaggiatore. E a mio parere, la pesantezza del suo stato, la sua penosa situazione, dipendeva strettamente dall'assenza di rivelazione. Gregor Samsa avrebbe potuto incontrare il satori nella sua nuova dimensione di insetto alato. Nel suo caso, paradossalmente, l'incubo si sarebbe trasformato nel sogno della liberazione. A Gregor è stata data una possibilità, un'occasione irripetibile. Ma egli non la coglie. Non solo Samsa non vola via, ma finisce i suoi giorni imprigionato nel suo esoscheletro da insetto.

In generale, nella metamorfosi del commesso viaggiatore, io leggo la metafora dell'ignoranza, dell'incoscienza, intesa come non conoscenza della dimensione umana. Gregor Samsa non sa di poter volare, esattamente come noi non sappiamo di poter vivere.

L'inconsapevolezza della nostra vera natura c'inchioda al destino dell'insetto.



(1) In Lezioni di letteratura.

(2) Sbalorditivo è, a questo proposito, il racconto Di notte che, malgrado sia stato scritto da Kafka nel 1920, pare sinistramente profetico nel descrivere qualcosa di molto simile a campi di concentramento. “...in una regione desolata, un campo all'aperto, un numero sterminato di uomini, un esercito, un popolo, sotto un cielo freddo sopra la terra fredda, buttati là dove prima erano in piedi...”.


1 commento:

  1. Ringrazio Antonina Di Martino, Nina dei mandarini, se posso permettermi questa licenza, per avermi fatto venire l'idea e la voglia di scriverne.

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