domenica 13 marzo 2016

A picture in grey




L'alba si è levata indolente e livida. Stamattina il cielo è una lastra d'acciaio che si chiude sulla baia. Gabbiani stridono in volo sul moto perenne del mare e il loro verso è quasi un'accusa al sole che non c'è. Ho infilato il mio maglione bianco e sono sceso in spiaggia. Il vento è quasi insopportabile e lo sguardo di Dick sembra chiedermi se abbiamo fatto bene a uscire con questo tempo. Raccatto un pezzo di legno portato dal mare e lo tiro lontano. Una felicità inattesa scioglie i suoi dubbi e i suoi muscoli. Scatta come un levriero, anche se non lo è, e in pochi secondi raggiunge il bastone e me lo riconsegna, tutto fiero della sua impresa.

Mi avvicino alle onde attento a non bagnarmi i piedi e nel momento in cui il mare si ritira lasciando una coltre di spuma, mi sporgo e tuffo una mano in acqua e con quella mi bagno la fronte, la bocca e il petto come per invocare una benedizione marina. L'acqua è gelida, affondo la mano nel calore della tasca, ma ci metto un po' a scaldarla.

Il giornale di ieri svolazza nel vento come un aquilone imperfetto. Siamo soli, gli unici idioti a sfidare il vento, e di sicuro ci aspetta un bel raffreddore, ma siamo felici, Dick e io. Felici della reciproca compagnia, di questa spiaggia deserta e di questo vento che mi manda la sabbia negli occhi e gli fa rizzare le orecchie e il pelo come se avesse dei fili attaccati, le cui estremità sono in mano a un burattinaio. E' buffissimo e quando rido lui si volta a guardarmi con un'aria vagamente offesa che mi fa ridere ancora di più.

E queste cosa sono? Dick drizza le orecchie.

Impronte, lievi passi sulla sabbia, footsteps in the sand (1). Di chi saranno? Io e Dick ci guardiamo con la stessa domanda negli occhi. La cosa strana è che le orme cominciano proprio qui, in mezzo alla spiaggia e da qui si dipartono verso le dune erbose, come se colui che le ha impresse fosse spuntato sull'arenile in questo punto preciso.

Dick codaritta pianta il naso nella sabbia, fiuta le impronte e d'improvviso parte. L'odore deve aver catturato la sua curiosità. Non è proprio una corsa in linea retta, zigzaghiamo qua e là a cavallo della lunga scia di orme, a volte torniamo indietro, altre lui si ferma e mi guarda come se non sapesse cosa fare. Ma le orme continuano.

Lo incito a proseguire, mettendo i piedi esattamente dove li ha messi il tizio che ci ha preceduto. Le impronte sono leggere, appena impresse sulla rena compatta, la superficie calpestata è decisamente minore della mia e così scompaiono sotto i miei pesanti passi. Penso che forse stiamo seguendo un bambino, una donna, oppure, un tipo mingherlino. E mi metto a fischiettare quella canzone che fa “...trying to walkin' in my shoes, trying to walkin' in my footsteps” (2).

Forza Dick, di questo passo non lo raggiungeremo mai, coraggio! Avanziamo contro il vento, che fa alzare la sabbia. Tiro su col naso, fa davvero freddo. Ma per quanto ci sforziamo, non si vede un'anima viva e comincio a credere che arriveremo ai confini del mondo senza trovare quello che cerchiamo.

E questo cos'è? Il muso di Dick ha smosso la sabbia e ne è emerso un cartoncino che raccatto. Ma guarda, una vecchia foto in bianco e nero, un po' gualcita, con gli orli bianchi merlettati, come usava tanti anni fa. Un uomo con la divisa mi guarda impettito, in posa. Che sguardo fiero! Sono quasi invidioso di quell'ardimentosa austerità che un'uniforme poteva conferire anche a un uomo qualunque. Altri tempi. Ma che ci fa una foto così antica in mezzo alla sabbia? A chi l'ha rubata il vento? La ripongo nello zaino in attesa della risposta e proseguiamo.

Dick è inquieto, i suoi occhi sono offuscati da una strana aria malinconica. A tratti solleva il muso e annusa l'aria, come se il vento portasse cattive notizie.

Mi fermo, ho visto qualcosa biancheggiare fra i cespugli di malva. Mi faccio strada fra i bassi cespiti e mi avvicino. E' un fazzoletto impigliato in mezzo ai rami. Lo raccolgo. Lo stringo nel palmo, è piacevole al tatto, la seta è morbida, sembra nuovo di manifattura. Lo avvicino al naso e un aroma dolce e ambrosiaco fiotta dentro le mie narici. Che buon odore. Cos'è? Mi pare qualcosa di vagamente familiare e lo faccio annusare anche a Dick. Lui affonda il naso nel fazzoletto e se la cava con uno starnuto che mi strappa una risata. Ma lesto ripianta il muso nella sabbia e continuiamo a seguire le orme. A questo punto, sono quasi certo che chi stiamo seguendo sia una donna, a meno che non si tratti di qualcuno che voglia approfittare del vento per farci uno scherzo.

Però c'è qualcosa che non va.

Dick è sempre più irrequieto, avanza di malavoglia, con la coda fra le gambe, soltanto per farmi piacere. E ogni tanto abbaia senza motivo.

Il cielo, il mare e la sabbia sono pervasi da un uniforme velo grigio, che ci opprime. Tuttavia continuiamo, voglio venire a capo di questo mistero.

Accidenti, sono inciampato. Dick mi guarda preoccupato, ma lo rassicuro. Ho preso un bel colpo sul dito del piede e ora mi fa un po' male. Mi ritorna in mente un verso della canzone che fischiettavo poco prima: ...you'll stumble in my footsteps... (3). Ma, in cosa, cavolo, sono incespicato? Ah ecco. Un sasso. E' una tipica pietra di mare, dalla forma perfetta, levigata dal paziente lavorio delle onde.

Insomma, una gran bella pietra e, con mio ampio stupore, sotto la pietra una busta. La prendo e me la rigiro fra le mani. Sono sbalordito e confuso. E' una lettera!

Oggi il vento fa cose davvero strane. Perfino mettere una busta sotto un sasso affinchè egli stesso non la spazzi via. Apro il plico, ne estraggo un foglio di carta scrocchiante, vergato fitto in inchiostro blu e leggo:


Mia diletta signora,

è purtroppo giunto il giorno della partenza; domani all'alba toglieremo gli ormeggi e questa lettera probabilmente vi raggiungerà quando ormai saremo al largo. Ho ordinato le manovre e impostato la rotta, la navigazione si preannuncia tranquilla. Ora sono chiuso in cabina a scrivervi queste righe e non posso fare a meno d'immaginarvi, in questo momento, distesa a letto accanto a vostro marito. E ciò mi appare profondamente iniquo. Lui, che appena si accorge di voi, che non vi rivolge la parola per giorni interi, che spreca le sue sere a giocare a carte al club, ha il privilegio di dormire al vostro fianco e magari permettersi di russare nella più assoluta indifferenza. E io, che vi amo sopra ogni altra cosa, più della mia stessa vita, non oso neppure incrociare il vostro sguardo, rivolgervi parole degne della vostra bellezza, sfiorarvi la mano.

Ma amare non è guardarsi l'un l'altra, amare è guardare insieme nella stessa direzione, come guardavamo il mare a Flooksburgh e non avevamo il coraggio di dichiararci. Il mare che guardavamo, domani lo lascerò dietro la poppa della nave e probabilmente maledirò le divinità marine perchè mi stanno allontanando da voi.

Thaìs, il vostro odore è ossigeno, il vostro nome è ossigeno. Non posso più fare a meno di voi, mi siete più cara dell'aria che respiro, dell'acqua che mi disseta, della luce che illumina i miei occhi.

Vi ricordate l'altra sera, al chiarore della luna, bionda Febe? Al riparo delle tenebre ascoltavamo quelli che credevamo i suoi gemiti – rammentate ancora la leggenda araba che vi ho narrato? (4) – ma in verità, erano i gemiti dei nostri cuori.

E' soltanto un giorno che non vi vedo e già la vostra assenza è insopportabile, il dolore è un cane che mangia il mio cuore.

Quando tornerò, affronterò vostro marito e gli dirò che vi amo. Poi, accada quel che deve accadere, non me ne curo. Quasi certamente mi sfiderà a duello, ne nascerà uno scandalo, forse vi ripudierà. Ma non abbiate alcun timore, ci sarà sempre per voi un rifugio caldo e sicuro fra le mie braccia.

M'ingegnerò di mettere ali alla mia nave, affinchè non navighi, ma voli sulle onde, così questo viaggio si concluderà in fretta e potrò sperare che quanto ho scritto si avveri molto presto.

Middleton, 12 novembre 1896                                               Sinceramente vostro

                                                                             Philip

Accidenti, questo si chiama scrivere! Questa lettera è un tesoro. La ripiego con cautela, la chiudo nella busta e la metto al sicuro nello zaino, insieme al fazzoletto.

Richiamo Dick, per tutto il tempo in cui leggevo se n'è rimasto accucciato ai miei piedi, strusciandosi contro le mie gambe, come se volesse sincerarsi della mia reale presenza, in qualità di essere in carne e ossa titolare di un corpo fisico, e continuiamo a seguire le impronte.

Non facciamo che pochi passi che avvistiamo qualcosa che rotola sulla rena, sospinta dal vento. Sembra una pallina. Dick scatta e la prende al volo tra le fauci. Per lui è un gioco e soltanto dopo averglielo chiesto con insistenza me la sputa in mano scodinzolando. E' una palla di carta. La pulisco dalla bava di Dick e dai granelli di sabbia e la apro, distendendola ben bene e lisciandola sulla mia gamba.

Ma tu guarda!

E' un ritaglio di giornale. Un antico numero del Warton Morning Post, deve avere più di cent'anni. Naturalmente è molto stropicciato, e umido, per il breve soggiorno nella bocca del cane, ma soprattutto per la vicinanza all'acqua salata. Quante cose strane si trovano oggi sulla spiaggia! C'è chi va in cerca di conchiglie, chi di sassi e chi si accontenta di scorgere strane forme in pezzi di legno sputati dal mare. Io non vado in cerca di niente, eppure sto trovando indizi. Ne potrebbe venir fuori un bel racconto. La carta è assai ingiallita e l'inchiostro molto scolorito, alcuni caratteri sono letteralmente volati via, come spazzati dalla furia del tempo, ma con un po' di sforzo riesco a leggere.

Abbandonate le ricerche della Albemarle.
E' in arrivo un fronte temporalesco dall'Irlanda e si preannuncia mare in tempesta e venti a forza sei. All'alba di stamane sono stati ritrovati al largo alcuni barili con impresso il nome della nave, assi rotte e un pezzo dell'albero maestro. Finora non si è avuta notizia di sopravvissuti (ma si spera che alcuni possano essere stati tratti in salvo da pescherecci di passaggio), e dunque dei cento uomini d'equipaggio neppure l'ombra, come fossero stati inghiottiti dal mare insieme alla nave. Più passa il tempo più s'affievolisce la speranza di ritrovarne qualcuno ancora in vita, magari aggrappato a un rottame galleggiante. A quanto si sa, l'Albemarle ha fatto perdere le sue tracce in vista dell'isola di Man, in condizioni meteorologiche ottimali, mentre navigava con mare calmo e visibilità più che buona. Il Ministero della Marina mercantile ha ordinato l'apertura di un'inchiesta, ma da quanto si è appreso dal nostro corrispondente a Londra, pare che i Lloyds diano ormai per scontato il naufragio del piroscafo e si siano rassegnati a pagare il risarcimento all'armatore.

La storia cresce e si arricchisce passo dopo passo, seguendo queste impronte, ma di chi le ha impresse continua a non scorgersi neppure l'ombra. Anche noi avanziamo passo dopo passo, sperando di scoprire il mistero, o l'inganno, su questo piattume monotono e assurdo, che sembra un po' il fondo del mare. Infatti, come palombari muniti di scafandro, bardati di tutto punto e zavorrati alla bisogna, ci muoviamo lentamente e con goffi gesti controvento.

Oggi il vento sta facendo di questo litorale che conosco come la mia stessa vita un luogo stranissimo, fuori dal mondo, come se fosse su un altro pianeta. Mi par di vivere in un mondo ibrido, dove cielo, terra e mare non hanno confini precisi; allora, in un giorno di vento come questo, sotto un cielo impassibile nel quale nuvole grigie corrono a perdifiato sul mare, può accadere davvero di tutto.

Anche che io confonda il reale con l'immaginato, credendolo più vero della realtà stessa.

Sarà per questo che mi sembra di veder qualcosa, lontano lontano, una macchia grigia all'orizzonte, una figura vagamente umana che si confonde con il profilo della costa, o è soltanto sabbia negli occhi?

Affrettiamo il passo. La figura s'ingrandisce un altro pò.

Ma si, c'è qualcuno di fronte a noi, appena appena riconosco che è una donna, con un lungo vestito bianco e un ombrellino per proteggersi dal sole. Ma che ci fa quella signora così bardata sulla spiaggia con questo vento, mi chiedo. Ma poi mi rendo conto che il suo vestito non ha pieghe, non è scosso dal vento, i suoi capelli sembrano di lava solidificata, l'ombrello non si muove.

La chiamo, fischio, le faccio dei cenni, Dick abbaia, ma la signora non si volta. Ora corriamo, ma per quanto sia lento il suo incedere, dev'essere più veloce della nostra corsa, perchè non riusciamo a raggiungerla. Ma la signora in bianco, dopo aver costeggiato una duna, è svanita dietro il suo profilo. Finalmente arriviamo, ma non c'è anima viva, niente di niente, come se la dama biancovestita fosse stata risucchiata dalle sabbie mobili, o se la sia portata via il vento, e comincio a credere che non mi sono ancora svegliato e sto sognando. Però, nel punto esatto in cui è scomparsa c'è una piccola lapide ingrigita dal tempo. Affiora appena dalla sabbia, è quasi tutta ricoperta dalle erbacce e lavoro un po' per liberarla. E finalmente riesco a leggere.

Questo è il punto esatto del naufragio della Albemarle, 30 miglia a ovest al largo di questa insenatura.
Nessuno sopravvisse.
Viandante che t'imbatti in questo cippo sussurra al vento una preghiera.
Possa il mare donare la pace alle loro anime.

Morecambe Bay, 14 novembre 1896



Io e Dick ci guardiamo. E' ora di tornare a casa.
Ora lo so. Ora ne sono certo. E rabbrividisco. Chissà se Dick pensa la stessa cosa.

Abbiamo inseguito un fantasma.



(1) Impronte di passi sulla sabbia, da Racconti narrati due volte (titolo originale Twice told tales) di Nathaniel Hawthorne.

(2) Si tratta di Walking in my shoes, tratta da Songs of faith and devotion, dei Depeche Mode. In realtà, la canzone fa:
Try walking in my shoes   Prova a camminare nelle mie scarpe

You'll stumble in my footsteps          Inciamperai nei miei passi
If you try walking in my shoes. Se provi a camminare nelle mie scarpe

(3) Inciamperai nei miei passi, vedi nota (2).

(4) Secondo un'antica leggenda araba, nelle notti più silenziose è possibile ascoltare i gemiti della Luna, una creatura fattasi pietra, ma che nel profondo del suo cuore di roccia palpita ancora.

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