venerdì 3 ottobre 2014

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Mi piace entrare nei bar sconosciuti, sperduti in remote contrade, o attaccati ai margini di strade solitarie con le unghie e con i denti, come un naufrago alla zattera, locali solitari e polverosi, a volte malfamati ed equivoci, vere e proprie discariche umane a cielo aperto, dove poveri cristi parcheggiati attendono la fine del giorno.

Mi piace entrare, ordinare e sorseggiare i loro caffè impossibili e quell’odore di muffa, di chiuso e stantio, che impregna anche le vesti del barista e la polvere sul bancone e le ragnatele tra le bottiglie dei liquori e forse anche sui volti degli avventori, che mi scrutano, m’indagano con viva curiosità, perché, in fondo, loro sono sempre gli stessi, ormai quasi complementi d’arredo, ci si accorge della loro presenza solo quando sono assenti, e io invece no, sono quello nuovo, il cittadino, il forestiero.
Analizzano ogni mio gesto, mi sondano per capire se la loro cupa disperazione equivale alla mia, se in fondo alla mia anima s’annida ancora qualche residuo d’umanità che puzza come la loro…
 

                                              COPYRIGHT 2014 ANGELO MEDICI

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