lunedì 22 settembre 2014

Molise, I want to believe!


 

In Molise abitano 350.000 persone. Di esse, circa 10.000 sono croati, altri 10.000 greco – albanesi, poi un numero imprecisato di rom e sinti e una discreta comunità araba (la moschea e il cimitero islamico sono realtà dagli anni sessanta del secolo scorso).

Gli zingari (mi spiace chiamarli così, perché pare dispregiativo, ma credo che pochi conoscano termini come romanì, sinti e korakhanè) sono arrivati in Molise tra il Quattrocento e il Cinquecento e da allora, viviamo casa a casa in pace con loro, non vi è ricordo del più piccolo screzio tra la loro comunità e quella molisana. Certo, i rom hanno le loro tradizioni e noi le nostre, ma non ho mai riscontrato altrove la tolleranza e il senso di ospitalità che c’è in Molise.

In Molise sono arrivati i Sanniti, si sono trovati bene e sono rimasti. Poi sono arrivati i romani (scrivo romani con la minuscola, perché li odio, hanno sconfitto i nostri combattivi predecessori), si sono trovati bene e sono rimasti, e poi i Normanni, i Longobardi, gli Spagnoli, i Saraceni (gli unici a non essere rimasti, ma avevano altre intenzioni) e così via, fino a oggi.

Conclusione: chi viene in Molise non se ne va più, perché si sta troppo bene. Se solo fossimo meno isolati come territorio e avessimo qualche risorsa in più che non ci costringesse a emigrare, sarebbe proprio un paradiso terrestre. Abbiamo il mare e le montagne, siamo una piccola Svizzera o una Scozia in miniatura (non lo dico a caso, il grande romanziere Piovene aveva scritto che i paesaggi del Molise gli ricordavano la bellezza tragica delle Highlands scozzesi, uno sfondo ideale per il Macbeth), buon cibo e brava gente, lavoratrice e caparbia, che non si lamenta mai, anche se si ricordano di noi solo quando si devono pagare le tasse.

In verità, siamo italiani misconosciuti. Pochi sanno dov’è il Molise. A me è capitato di sentirlo situare tra l’Alto Adige e le Marche e spesso lo confondono, chissà perché, proprio con quest’ultima regione. Segno che i programmi scolastici ministeriali dedicano sempre meno attenzione alla geografia e questo è il risultato. Una volta c’era addirittura un sito creato con lo scopo di mettere in dubbio l’esistenza della regione http://copiaeincolla.wordpress.com/2007/10/19/molise-confronting-the-evidence/. Lo slogan del sito era “Molise, I want to believe”, Molise, voglio crederci (nella tua esistenza), che è praticamente lo stesso motto che si trova sulle t-shirt degli appassionati di ufologia, sotto la faccia improbabile di un alieno schiantatosi a Roswell. Chissà, magari scopriamo che Roswell è unito al Molise da un corridoio spazio – temporale… A parte l’ironia, quel sito coglieva un fondo di verità. La scarsa conoscenza, se non l’indifferenza degli altri italiani nei nostri confronti, se non una vera e propria intolleranza, manifestata dal catalogarci nel multiforme calderone dei terroni sporchi, lamentosi e cattivi, con lo scopo di affibbiarci comunque una categorizzazione che li faccia stare tranquilli. La gente, si sa, si tranquillizza se può ricondurti a qualche categoria prestabilita, è la diversità, l’inclassificabilità, che destabilizza.

Io sono un po’ del Molise e un po’ no. Mia madre certamente lo è, mio padre no. Così nelle mie vene scorre tumultuoso sangue geograficamente misto, molisano, campano, pugliese, sangue pazzo che mi rende così irrequieto e instabile come una piramide a testa in giù in bilico sul proprio vertice. Ma, forse, quel mix ematico è un vantaggio, un dono. Da qualche parte ho letto che l’inquietudine è la materia prima della creatività. Così mi spiego questo post e tutti quelli che ho scritto in precedenza e che scriverò (o, almeno, è quello che spero) e che avrete la pazienza e la bontà di leggere (e anche questo è quello che spero).

Fino ai primi anni settanta del Novecento, il Molise era la regione più povera d’Italia, falcidiata dalle carestie e dalle emorragie delle emigrazioni. Agli inizi del 2000 avevamo fatto passi da gigante, si era sviluppato qualche embrione d’industria e pareva che il turismo stesse per decollare, il PIL cresceva, tanto che eravamo usciti dall’Obiettivo 1 di Agenda 2000 dell’Unione Europea, quello delle Regioni in ritardo di sviluppo e stavamo per entrare nell’Obiettivo 2 dei territori con qualche carenza sociale, economica e infrastrutturale meno grave (per capirci meglio, dirò che in tale Obiettivo vi erano anche alcune zone del Nord Italia). La G.C.S.E. (Grande Crisi Socio – Economica), ahimè, ci ha fatto rimpiombare nel medioevo.

Quando avevo vent’anni e pochi soldi in tasca, le vacanze estive le consumavo, insieme alle scarpe, vagabondando zaino in spalla per paesi e vallate, boschi e montagne. Esploravo il Molise, la mia terra. Vacanze low cost, si direbbe oggi, anzi, without cost, per essere precisi, ma non mi sono mai divertito come allora, quando giravo praticamente senza un soldo in tasca.

A volte, ci capitava di accamparci tenda a tenda, a fianco agli zingari. La sera accendevano il fuoco e noi univamo le nostre chitarre alle loro fisarmoniche, le nostre voci gagè ai loro canti gitani, le nostre mani e i nostri piedi alle loro danze. Si mangiava, si beveva, si cantava e si ballava insieme e nessuno ci ha mai portato via niente. Anzi, ci hanno dato molto, ogni volta. Ci hanno aperto le loro tende e i loro cuori, insegnandoci le loro canzoni, spiegandoci con pazienza le loro tradizioni orali e, quando era ora di salutarci, lo facevamo a malincuore, con il sorriso sulle labbra e un nodo alla gola, sussurrando: “Lacio drom”.

Buon viaggio.
Il miglior augurio che si possa fare a un popolo sempre in cammino.

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