martedì 16 settembre 2014

Una goccia di vita scappata dal nulla


 


Stanotte ho saputo che c’eri: una goccia di vita scappata dal nulla…” E’ il famoso incipit di Lettera a un bambino mai nato, di Oriana Fallaci. Bè, tutti sanno che libro è, davvero non ha bisogno di presentazioni. Era da tanto che volevo leggerlo. Volevo capire, sentire la maternità dalla parte della donna, dalla parte che mi manca, che non conosco, perché sono uomo. Sentire ogni respiro, ogni attimo d’incertezza, ogni frammento di paura che afferra il cuore nel buio della notte. Oggi ho avuto l’occasione di colmare una lacuna. Grazie a te Oriana.

Il tuo è un libro senza tempo, è sempre valido, attraversa gli anni e le generazioni e le domande che ti ponevi sono ancora qui, in cerca di una risposta. “Chi ti ha chiesto di mettermi al mondo, perché mi ci hai messo, perché?” è la temuta accusa di un figlio scagliata negli anni a venire. La paura di una donna sola è la paura di tutte le donne. Tu la risposta l’avevi trovata, o almeno ti eri ingegnata a cercarla: “Mi dispiacerebbe non essere nata perché nulla è peggiore del nulla… Che m’importa se sei cominciato per caso o per sbaglio, anche il mondo in cui ci troviamo non cominciò per caso e forse per sbaglio?... Tutto avvenne perchè poteva avvenire, quindi doveva avvenire”. Ma le tue risposte non cancellano la paura di una donna, la paura di ogni donna, come dicevo: “Ora eccomi qui, chiusa a chiave dentro una paura che mi bagna il volto, i capelli, i pensieri”.

Attraverso le tue stupende righe traspaiono le difficoltà di una donna degli anni settanta, nello scoprirsi, in una società intrisa di perbenismo ipocrita e assurda morale cattolica, ‘non legalmente’ incinta, di aspettare un bambino senza essere sposata. Morale cattolica? Come può un prete pretendere di giudicare dell’amore tra un uomo e una donna, in nome di quale Dio e di quale legge morale? Per fortuna, ho smesso da tempo di credere nei preti, ma non in Dio.

Ma ecco comparire uno scatto d’orgoglio nell’essere donna e madre in fieri, quasi un’eroina d’altri tempi, da tragedia greca, contro tutto e contro tutti, una Medea al contrario che ha preso la decisione di tenersi e non gettare via un figlio scomodo, ingombrante, del quale neppure il padre ha voluto saperne.

V’è un che di glorioso nel chiudere dentro il proprio corpo un’altra vita, nel sapersi due anziché uno”.

Sono illuminanti le sue parole, per noi maschietti, ci aiutano a riflettere sullo stretto legame tra madre e figlio, che possiamo solo intuire e mai comprendere, vincolo che noi, uomini e padri, non avremo mai. “Certo siamo una ben strana coppia, io e te. Tutto in te dipende da me e tutto in me dipende da te: se tu ti ammali io mi ammalo, se io muoio tu muori. Però io non posso comunicare con te e tu non puoi comunicare con me… Mai due estranei legati allo stesso destino furono più estranei di noi. Mai due sconosciuti uniti nello stesso corpo furono più sconosciuti, più lontani di noi”.

E’ l’ineluttabilità della vita, la necessarietà della genesi, l’imprescindibilità della creazione. La vita dev’Essere, non può non Essere.

Dopotutto sei tu che hai preso l’iniziativa” dice Oriana rivolta alla creatura che porta in grembo “ed io sbagliavo a credere d’importi una scelta. Tendendoti, non faccio che piegarmi al comando che mi impartisti quando s’accese la tua goccia di vita. Non ho scelto nulla, ho obbedito!”.

E anche molta tenerezza.

Svegliati su. Non vuoi? Allora vieni qui, accanto a me. Appoggia la testina su questo guanciale, così. Dormiamo insieme, abbracciati. Io e te, io e te… Nel nostro letto non entrerà mai nessun altro.

Come se maschio, nella duplice forma di padre/compagno, fosse superfluo, inutile, un’istituzione superata… Il sesso inutile, come il titolo di un’altra sua celebre opera, solo che era riferito alla condizione femminile nel mondo arabo.

Purtroppo, non sei riuscita a tenerlo il tuo bambino, Oriana.

E ora non ci sei più. C’è solo un bicchiere di alcool dentro il quale galleggia qualcosa che non volle diventare un uomo, una donna… Tu sei morto. Ora muoio anch’io. Ma non conta. Perché la vita non muore”.

La vita non muore.

Ho freddo e qui dove sono c’è troppo silenzio, forse provo il tuo stesso lucido dolore mentre scrivo queste righe. Ho terminato il libro da poco, l’ho chiuso e l’ho messo via. La copia era nuova, la sua proprietaria, ch’è madre, non l’ha voluto leggere. L’ho fatto io, al posto suo, che sono uomo e padre e subito m’è venuta la frenesia di scrivere, ma le mie righe, in confronto alle tue, fanno ridere, sono superficiali, sono come pietre piatte che rimbalzano sulla superficie del mare, una, due, tre, tante volte, senza andare a fondo.

E’ stato inusuale per me, che non leggo quasi mai libri scritti da donne, desiderare di leggere il tuo. Quelle che ho letto si contano sulle dita di una mano sola. Margherite Duras, Doris Lessing, Harper Lee, Irene Nemirovsky. E naturalmente, Oriana.

Oriana e basta.

Non riesco ad aggiungere un cognome al tuo nome, come se tu fossi una vecchia, cara amica. Ancora una stranezza, perché, io praticamente non ho amiche e c’è una ragione. Prima o poi, ci ho provato con tutte quelle che avevo. Per quelle sventurate che hanno ceduto al corteggiamento, finito l’amore, non c’è stato più posto per null’altro, nemmeno per l’amicizia. Per quelle che hanno resistito, scoperto l’inganno, svelato l’arcano dell’eterno cacciatore, è svanita anche l’amicizia.
Eri così… Oriana, non trovo aggettivi per descriverti e forse, non ve ne sono. Ma, se avessi avuto in dono la tua amicizia, mi sarebbe bastata.

 

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