giovedì 26 giugno 2014

Odore di terra bagnata


 
Odore di terra bagnata, il fondo del bosco screziato di luci e ombre, il sole ingaggia una battaglia con le chiome dei pini e dei faggi e spesso ne è sconfitto. Macchie gialle interrompono la monotonia del verde, quasi nero all’ombra. Fiori di taràssaco, buoni per il risotto.

Non è l’ora, non è il luogo, non era il caso di venire qui. Il letto era caldo e la stanza ancora buia, i tentacoli del sonno erano inestricabili e pure li ho spezzati con l’acciaio della mia volontà.

Non vorrei essere qui, non lo vorrei neppure se mi pagassero tutto l’oro del mondo. Vorrei evaporare al sole di maggio, come un pugno di lacrime di rugiada e svanire in un alito di vento.

Non vorrei essere qui, eppure ci sono e questo è un fatto immutabile che sconvolge le mie illusioni, le scompiglia, le spazza via come un vento impetuoso, è un maglio che m’inchioda al muro di una nuova consapevolezza.

Le cime aguzze delle vette si liberarono in quel momento dalle nubi che le avevano cinte come calde berrette da notte. L’alba giungeva fresca e preziosa, prodiga di raggi solari, che svegliavano la stretta vallata incuneata tra le ripide montagne. Passavo tutto il tempo a naso insù, non lo facevo da quand’ero bambino. A causa della bassa statura, ero costretto a guardare il mondo degli adulti con un eterno mal di collo, che si protrasse ben oltre l’adolescenza. Ma, nel giro di una sola settimana, crebbi di venti centimetri, come gli asparagi che crescono al limitare del bosco, di colpo, dopo la pioggia.

Non ero più abituato alle vette. Me le sentivo addosso, un’orda di giganti immobili e silenti. Mi mancava il fiato e annegavo tra vortici di vertigini.

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