mercoledì 10 aprile 2013

Lo specchio degli enigmi

Nel paragrafo “Lo specchio degli enigmi” (Altre inquisizioni), Borges indaga le Sacre Scritture ed un versetto di San Pietro “Videmus nunc per speculum in aenigmate” (Ora vediamo attraverso uno specchio, nell’oscurità) e riporta la visione di Leon Bloy, il quale pensa lo specchio come un lucernario attraverso il quale scrutare l’Abisso, che è la profondità inesplorata dell’animo umano, mentre “la paurosa immensità degli abissi del firmamento è un’illusione”, nient’altro che “un riflesso esteriore dei nostri abissi, percepiti ‘in uno specchio’”. In un altro scritto Bloy rappresenta l’idea di un mondo che, visto attraverso lo specchio suddetto, ci appare al contrario, vediamo tutto a rovescio e non riusciamo a decifrare quale sia la realtà riflessa attraverso lo specchio. In questa confusione, dice Bloy “Tutto è simbolo, anche il dolore più lacerante. Siamo dormienti che gridano nel sonno.”.
Mi piace quest’ultima frase “dormienti che gridano nel sonno”. Siamo come immersi in una immensa realtà, solo virtuale e mai reale, in un mondo illusorio ed effimero, sempre sul punto di dissolversi come nebbia e sparire per sempre. C’è un concetto di base molto simile espresso nel film Matrix, nel quale si immagina un mondo dominato dalle macchine, che ci tengono soggiogati a vivere sogni artificialmente indotti dalle stesse macchine, che in questo modo si servono di noi. In tutto questo c’è una ispirazione, o meglio, una visione profondamente buddhista, che invita a guardare attraverso ed oltre il mondo, per scoprire che è pronto a lacerarsi e cadere come un velo e che altre sono le verità.
Bloy legittima questo sospetto affermando che nessun essere umano sa chi sia veramente, come si chiami davvero, cosa sia venuto a fare in questo mondo…..nessun uomo sa chi è, in poche parole. Ci sono molti dubbi che il mondo abbia un senso, figuriamoci se ne possa avere due o anche tre, conclude Borges.
Io condivido e non aggiungo altro, se non questa piccolissima puntualizzazione, ma devo ritornare alle Sacre Scritture.
Borges tenta di giustificare i cabalisti ebraici, che pensavano che le Sacre Scritture fossero un testo assoluto perché proveniente dalla Divinità e assoluto anche perché ritenevano che nulla fosse stato lasciato al caso nella sua compilazione e Borges, appunto, ritiene che non vi possa essere nulla di affidato al caso in un’opera dettata da un’intelligenza infinita.
Ma io ritengo, piuttosto che, se anche le Sacre Scritture sono state redatte da un’intelligenza infinita, esse erano destinate a noi umani, entità dotate di un’intelligenza finita. Credo, quindi, che non si possa affermare che le Sacre Scritture siano testi assoluti nel senso dei cabalisti ebraici, altrimenti sarebbero stati al di sopra delle nostre effettive possibilità di comprensione.
E una Divinità che non sa o che non vuole farsi comprendere è altrettanto al di fuori e al di sopra dalle nostre possibilità di comprensione.

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