sabato 27 giugno 2015

Mio padre


 

Mio padre mi lasciava solo in macchina e spariva per molto tempo. Cosa facesse in quelle ore d’assenza, non mi era dato saperlo. I minuti scorrevano lentamente nel grigio abitacolo, che odorava di plastica e benzina, un ragno finto molleggiava sulle sue zampe di metallo, il silenzio si faceva assordante. A volte una mosca penetrava nel muro di silenzio ronzando con il clamore di un elicottero, ma non cadeva mai preda del ragno.

Avvertivo la presenza di mio padre, molto prima che si materializzasse, non so spiegarlo, un istinto atavico m’induceva a voltare la testa verso l’angolo di strada dal quale sarebbe sbucato. La sua apparizione era un raggio di luce fra nembi temporaleschi, la caduta del mio regno del silenzio; subito si faceva strada in me una profonda gratitudine e sentivo di volergli bene.

Entrava, richiudeva lo sportello e rimetteva in moto. A stento mi guardava, tanto che mi chiedevo se si ricordasse che c’ero anch’io e non mi avesse confuso con le ombre della sera che incombeva su di noi. I fari tagliavano il buio a fette e ci allontanavamo da quel mondo di ombre e di noia che era stato il mio recente esilio.

Non mi diceva nulla, a volte, le parole che pronunciava non erano neppure rivolte a me, ma a sé stesso, come se proseguisse su un filo logico mai interrotto. Le sue brevi frasi affioravano di quando in quando dal flusso dei suoi pensieri e io potevo intuire la direzione del suo scorrere.

Quelle bizzarre gite fuori porta erano molto noiose, ma io ardevo dal desiderio di stare con lui, anelavo il piacere della sua presenza.

Lo avrei seguito in fondo al pozzo più scuro pur di stare con lui.

 

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