venerdì 29 agosto 2014

I hate shopping!


 

“Sù parcheggia! E’ qui.”

M’infilo nell’unico buco disponibile lungo il marciapiedi e peccato se c’è divieto di sosta e fermata e pazienza se sono proprio sulle strisce pedonali e accidenti se ci sono vigili urbani nei paraggi, con la moglie e la suocera non si discute, si ubbidisce. A dir la verità, prese singolarmente, riuscirei a tenere testa a entrambe, ma così, insieme, no, sono destinato a soccombere sotto il loro imperioso, stereofonico: “Parcheggia!”.

Mentre scruto l’orizzonte, cercando di cogliere in anticipo l’avvicinarsi di eventuali divise e sgattaiolare nel traffico prima del loro arrivo, sento sbattere le portiere dell’auto e le due uniche artefici del mio destino, possedute dalla fregola dello shopping, svaniscono presto tra la gente. Ora sono solo.

Recupero l’agenda dal cassetto del cruscotto, mi lascio trasportare dal flusso dei pensieri e comincio a scrivere.

“Che Dio ti benedica, che tu possa avere una lunga vita e godere tutte le fortune di questo mondo, soldi, donne, salute… “

Ecchecazzo! Non ho fatto neppure in tempo a scrivere una riga! A questo mondo non si può neppure aspirare a essere lasciati in pace per cinque minuti. Mi volto. Gli occhi scuri e profondi di una zingara mi scrutano.

“…a te e ai tuoi figli, tutte le gioie, la felicità e le ricchezze di questo mondo, pace e prosperità sulla tua casa… “

“Va bene, va bene! Mi hai convinto”. Interrompo le sue litanie e metto mano al portafoglio. So bene che se non lo facessi, ricomincerebbe a cantarmi le sue filastrocche, ma stavolta al contrario, augurandomi tutte le maledizioni di questa terra. Inizia così una ricerca spasmodica degli spiccioli, ma mi accorgo di avere solo cinque o sei centesimi, un bottone, un paio di monete fuori corso (la cara vecchia lira!) e una moneta da due euro. Cincischio un po’ con le monete, cerco di prendere tempo, ma è inutile, so già che sceglierò la moneta da due euro, perché sono fatto così: davanti a chi chiede non so dire di no e non so deluderne le aspettative.

Depongo la moneta nel palmo della sua mano. La fa sparire in un lampo e mi afferra entrambe le mani. E’ stata lesta, non me l’aspettavo e non sono riuscito a ritrarle, ma le sue mani sono calde e inaspettatamente morbide e stringono forte le mie. E’ come un nodo che non riesco a svellere. La guardo meglio. La sua acconciatura improbabile, le larghe e lunghe vesti che indossa non riescono a dissimulare la sua età. E’ giovane e il suo seno florido preme contro lo sportello. Ma non è questo a trattenermi. Sono i suoi occhi penetranti e il calore e la forza della sua stretta, che non riesco a sciogliere.

“Tu sei tanto invidiato… “ comincia a dire “ … e hai tanti problemi…”

“E chi non li ha?”

“Dove abiti? Che lavoro fai?”

“Questo dovresti saperlo già, o no?” faccio ironico, sfidando le sue doti divinatorie.

“Stai aspettando tua moglie, vero?”

“E anche mia suocera. Brava!”

Questa è stata una facile previsione però, penso. Basta guardare l’interno della mia auto, che straripa di buste di vestiti e calzature da donna e comincia a somigliare alla vettura di un agente di commercio.

“Ora, lasciami le mani”. Tento di tirare, ma lei non molla. Andiamo avanti un po’ con quella pantomima, con quello strano braccio di ferro mano nella mano, io tiro a me e lei tira a se, ma il risultato non cambia, siamo sempre in parità, in bilico sul finestrino aperto. Comincio a pensare che voglia sfilarmi l’orologio e il braccialetto che porto al polso, o che abbia adocchiato il cellulare. Non ci metterebbe nulla a farlo sparire con le sue doti magiche. Ma mi sbaglio, pare che non sia questo che le interessi. E intanto, i miei occhi e le mie mani non riescono a staccarsi dai suoi occhi e dalle sue mani.

“Qual è il tuo desiderio più grande?”

“Mantenere quello che ho”.

Ho risposto proprio così, ma era come se a rispondere alla zingara fosse stato un altro e non io. Avevo risposto a lei, ma era più come se avessi risposto a me stesso, a una domanda che non mi ero mai posto, ma che aleggiava da tempo in me, da qualche parte, e che la gitana, con la sua curiosità interessata, aveva risvegliato. Ero stupito da quella risposta.

“Ora ti dò un portafortuna, che ti aiuterà nella vita… “ riprende a dire, ma lo stupore di poco prima mi dà la forza per dirle di no.

“Mi dispiace, ma non credo a queste cose”

Lei ci è rimasta male, è delusa e triste al tempo stesso, come se la matassa che stava con pazienza svolgendo si fosse annodata, o più semplicemente perché non avevo voluto accettare il suo dono. Ne approfitto per liberare le mani dalla sua morsa. I suoi begli occhi neri sono velati, stavolta non fa resistenza e lascia sfilare le mie mani, lentamente, dalle sue.

“Buona fortuna!”

“Anche a te”

Se ne va appena in tempo per non incrociare mia moglie e mia suocera che stanno tornando e mi risparmio le loro raccomandazioni di non dare confidenza agli sconosciuti, neanche fossi un bimbetto di tre anni e non un uomo bell’e fatto, neanche se lo sconosciuto in questione ha le sembianze di una bella zingara dagli occhi neri e ammaliatori e il seno prosperoso.

Anzi, soprattutto per questo.

Scarrozzo ancora per un po’ le mie donne senza sbuffare, affronto stoicamente, a loro richiesta e nell’ordine: un senso vietato, un semaforo rosso e una pista ciclabile, subendo senza fiatare gli improperi di un ciclista, quindi, mi sorbisco le ultime novità di Grey’s Anatomy e, infine, apprendo, con viva partecipazione, che quest’estate va di moda lo shatush, i pantaloni a vita alta e i gonnoni plissettati.

Ma ogni cosa prima o poi ha una fine e anche gli acquisti, grazie a Dio, giungono al termine. Torniamo a casa. Quando sua madre va – finalmente - via, mia moglie mi abbraccia e mi bacia.

“Sei stato tanto paziente con me e mia madre, oggi. Più del solito”

Non le rispondo. Mi limito a sorriderle sornione. E intanto, penso all’alta pila di vestiti, scarpe e suppellettili per la casa, che giace, incombente e minacciosa, all’ingresso. So bene che tra un po’ mi chiederà di darle una mano a metter via tutto.

“Qual è il tuo desiderio più grande?” domanda, invece, come se volesse premiarmi, farmi un regalo. I suoi occhi sembrano più grandi e ammiccano.

Mille pensieri, centinaia di desideri, decine e decine di richieste mi passano per la mente. Ma stavolta non ho dubbi. Ed è la mia voce a rispondere e non quella di qualcun altro.

“Mantenere quello che ho”.

 

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