giovedì 6 febbraio 2014

Era una gioia appiccare il fuoco


 

Era una gioia appiccare il fuoco. E’ l’incipit di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. E’ un romanzo distopico, il protagonista è un vigile del fuoco in crisi, ma attenzione, nel futuro i pompieri non spengono gli incendi, li appiccano. Sulla schiena non portano estintori, ma lanciafiamme che come draghi furiosi alitano lingue di gas rovente e divorano pagine e pagine di libri. E sì, perché nel futuro i libri sono vietati e devono essere distrutti.

Perché?

Ma perché sono pericolosi, naturalmente. Un libro è una lettera aperta, spalancata sull’umanità, un libro è la summa del pensiero di un individuo, idee spesso tanto belle e importanti, da non poterle tenere per sé, tanto che allo scrittore pare quasi di avvertire un obbligo morale di rivelarle al mondo. E le idee si diffondono, volano come il vento, sulle fragili ali dei libri. Ma questo non va bene per chi vuole impedirci di pensare con la nostra testa, non va bene per chi vuole che non pensiamo alle idee degli altri, ma solo alle sue.

Ecco perché i libri bruciano, la carta prende fuoco così facilmente… Non sono certo mancati nella storia i roghi di libri.

Il Bucherverbrennungen (letteralmente, rogo di libri ebraici) nella Germania nazista, ad esempio. Il rogo di libri ingombranti in seguito al colpo di stato in Cile. Quei volumi dovevano essere talmente ingombranti, che anche l’Argentina di Videla ne seguì l’esempio e volute di fumo nero si levarono alte nel cielo sudamericano. Ma anche Mario Vargas Llosa subì lo stesso trattamento in Perù, a opera dei militari, che non gradirono la pubblicazione del suo La città e i cani, che denunciava la violenza e le ipocrisie della casta militare di quel paese.

Tanto per limitarci alla storia più recente.

Ma anche in Italia, paese nel quale, grazie a Dio, non ci facciamo mancare nulla, abbiamo avuto i nostri roghi. Anzi, proprio da noi è accaduto il fatto, forse, più curioso. Nel 1958, per ordine della Procura della Repubblica di Varese, vennero date alle fiamme innumerevoli copie di Storielle, racconti e raccontini del marchese De Sade, allo scopo di distruggere il corpo del reato, poiché l’opera fu giudicata, all’epoca, scandalosa.

Ma chi distrugge un libro, distrugge anche una persona, quella che sta dietro il volume, che l’ha pensato, meditato, sofferto e infine, scritto.

Quando si bruciano i libri, si bruciano le persone” diceva Heinrich Heine alla fine dell’ottocento nel suo Almansor. E’ la sacrosanta verità. Quando un libro va in fumo, va in fumo non solo l’idea che vi è insita, ma s’incenerisce anche il senso più profondo del suo autore, la sua anima.

Per sempre.

E’ un modo deleterio e rovente e altamente simbolico, per scagliare nell’oblio quella persona e la sua creatura, affinchè delle sue parole non resti nulla. Solo cenere.

Una volta si mandavano le persone al rogo, adesso i loro libri.

Ma ora arriviamo dove volevo arrivare. Tutto questo sproloquio perché oggi ho visto sul web una foto che non mi è piaciuta, anzi, mi ha fatto accapponare la pelle e mi ha fatto venire in mente le atmosfere di Fahrenhit 451. Un signore (chiamiamolo così, per il momento, dopo troveremo un sostantivo più adatto), ha bruciato nel camino, una versione domestica dei lanciafiamme di bradburiana memoria, il volume di uno scrittore che ha espresso in modo cortese, ma deciso, di non essere d’accordo con le sue idee. In questo caso il rogo è avvenuto al contrario: tu non condividi le mie idee, allora io brucio le tue, come per una sorta di ripicca. E l’autore del gesto è un appartenente, abbastanza in vista, a un movimento di natura “astrale”, capeggiato da un comico che non fa ridere e ispirato da un ideologo privo di idee, che sarebbe ora si tagliasse i capelli, perché l’epoca dei figli dei fiori è passata da un pezzo. Scusate, non faccio nomi, non è importante, tanto è tutto facilmente identificabile.

Mmm… , avevo detto che questo è un blog apolitico, scusatemi, continuerà a esserlo, non voglio scadere nella politica, ma dopo gli ultimi indecenti episodi del Palazzo proprio non ce la faccio a tenermela.

Premetto che nutro il più profondo rispetto per qualunque opinione diversa dalla mia e soprattutto, per l’opinione qualificata, consacrata dal voto, di chi nel febbraio 2013 vergò la scheda elettorale con un crocesegno sul simbolo di quel famoso movimento “stellare”, però, ritengo che non si possa infangare così il Parlamento italiano, siamo i soliti provinciali, ci facciamo ridere in faccia da tutto il mondo!

E’ un movimento populista, mi dice qualcuno, dovevi aspettartelo. E va bene, è un movimento populista, ne prendo atto.

Mi dicono anche che il populismo parli alla pancia della gente. Prendo atto pure di questo, ma io credo che il populismo italiano si rivolga ormai a parti più basse del corpo umano. “Questo” populismo parla al CULO della gente. E quello che spero è che alle prossime elezioni la gente voti col CULO sulla scheda elettorale, depositando una bella massa di materia fecale (n’ strunz, come dicono dalle mie parti) sui nomi di questi miseri sfigati, che da un giorno all’altro si sono ritrovati deputati e senatori e, da miseri (nel senso di miseria morale e non di carenza di risorse materiali) e sfigati quali sono ed erano, pretendono d’infangare l’onore e il rispetto dovuto alle cariche istituzionali che ricoprono, fregandosene delle regole e con metodi antidemocratici, beceri e sessisti.

In democrazia le regole sono tutto, perché stabiliscono il confine tra la mia libertà e quella del prossimo. Dove finisce la tua libertà, comincia la mia e viceversa, guai se non fosse così, altrimenti ci pesteremo i piedi a vicenda.

Altrimenti, sarebbe una democrazia incompiuta, una democrazia formale, solo di facciata e priva di contenuto e avrebbe ragione il grande Charles Bukowski in La politica è come cercare di inculare un gatto, quando sosteneva che la differenza tra democrazia e dittatura è che in democrazia, prima si va a votare e poi si prendono ordini, mentre sotto la dittatura non c’è bisogno di perdere tempo per andare a votare, per prendere gli ordini.

Io credo che il popolo italiano sia molto più intelligente di quanto credono loro e ha già capito che dentro questi personaggi c’è il vuoto assoluto, che nasconde il baratro nel quale ci condurranno, se non stiamo attenti.

Ma chi è questo signore che pretende di essere il maestro assoluto della politica, l’insindacabile arbitro delle ideologie, il fustigatore degli italici costumi, il masturbatore di tubercoli cerebrali? E’ il nulla, è il buio, è il vuoto spinto, è il grado più basso della catena evolutiva umana.

Signori, ve lo dico io chi è.

E’ un povero capocomico in crisi, un castigamatti, un malefico burattinaio che muove leve e fili, ai quali sono attaccati arti e bocche di deputati e senatori, che, a suo comando, alzano la manina per votare e chiudono la bocca per non far emergere opinioni discordanti da quelle del capo della baracca.
No, io questo signore proprio non lo sopporto. Non mi faceva ridere da giullare televisivo, mi fa piangere come politico!

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