venerdì 24 gennaio 2014

Il custode


 

Io di lavoro faccio il custode e fare il custode vuol dire stare sveglio mentre dormite, perché io veglio su di voi. Il capo mi ha assegnato questo incarico e io lo svolgo con molta diligenza. Mi piace entrare nelle vostre case e sbirciare nelle camere da letto. Siete tutti uguali nel sonno, siete così strani mentre dormite. Sembrate morti.

Ma non è così. Le vostre vite sono preziose e io le difenderò sempre, vi proteggerò, a ogni costo.

Dicevo che vi guardo mentre dormite.

I bambini hanno il sonno agitato, rivivono la giornata frenetica appena trascorsa, rielaborano gli avvenimenti del giorno e i loro cervelli sono ancora in piena attività, quando il sonno li prende. E così sognano molto, ma non ricordano quasi mai i sogni che fanno. Vederli dormire mi riempie di tenerezza, essi sono l’immagine del calore e della purezza. Di tanto in tanto parlottano nel sonno e mi diverte ascoltare ciò che dicono. A volte si svegliano piangendo. Si sono smarriti nelle desolate steppe degli incubi. Io li prendo tra le braccia, sussurro loro vecchie cantilene e, cullandoli dolcemente, li riconduco alle fertili praterie dei sogni.

I grandi sono più tranquilli, dormono beati tra le braccia di Morfeo, qualcuno russa, qualcun altro si lamenta nel sonno. Al mattino si svegliano nella stessa posizione in cui si sono addormentati la sera prima, sopraffatti dalla stanchezza. Poveretti, sono sfiniti, esausti, sfiancati dalla giornata di preoccupazioni e duro lavoro appena terminata. Non riescono a godersi la meritata calma del rifugio domestico, non fanno neanche in tempo a poggiare il viso sul cuscino, che crollano addormentati. Ma il sonno li nutre e li ristora. A volte sento dei rumori, qualcuno ancora armeggia di sotto a tarda ora, non riesce a dormire, ma a questo penso io e crolla addormentato sul tavolo della cucina. E io vigilo, affinchè nulla disturbi il vostro riposo.

I vecchi mi fanno una tristezza che non so descrivere. Forse perché sono giovane - e, in verità sono sempre stato giovane - e non conosco le erosioni degli anni, il deperimento, le ferite, che lo scorrere del tempo infligge ai vostri corpi. I vecchi si addormentano, dopo una giornata inutile, durante la quale si sono trascinati stancamente in cerca di uno scopo, in una notte ancora più inutile, sterile di sonno. Faticano ad addormentarsi, a volte non dormono affatto. Sono come isole circondate dall’insonnia e dalla morte. I loro sogni hanno il sapore amaro del rimpianto e dell’assenza. Ritrovano le persone care, la vita che è andata, ciò ch’è stato, un giorno dopo l’altro. Si rivedono giovani, inseguire le speranze, le gioie e i desideri nell’ingenuità dei loro anni perduti.

Ma solo per poco.

Sono brevi istanti, anche se nei sogni sembrano eterni. E questa è l’unica consolazione che posso dar loro, perchè tutto passa e non torna più.

Anche per me.

E si, vederli dormire è proprio una fitta al cuore. I loro corpi intorpiditi e doloranti sembrano rami assiderati nel gelo di un sonno così simile alla morte.

Sta per finire la notte e anche il mio turno. Indugio ancora un po’ presso i vostri letti. Volgo un rapido sguardo intorno, controllando che tutto sia a posto, vi faccio una lieve carezza e me ne vado.

Mi piace prendermi cura di voi, mi piace consolarvi quando siete afflitti e gioire insieme a voi, quando siete felici, delle vostre beatitudini, così piccole e transitorie.

Vi accontentate di poco.

Basta davvero poco per farvi sorridere. Siete belli quando guardate il mondo con occhi pieni di meraviglia e di stupore. E mi stupisco anch’io mentre vi guardo, io che non mi meraviglio più di niente.

In fondo, pensavo, io sono una specie di guardia del corpo. Vi proteggo dai pericoli e sto attento che non vi facciate male. Se cadete, sono io quello che attutisce il colpo, sono io quello che vi aiuta a tirarvi su e fa in modo che il dolore non sia poi così insopportabile. Non potrei mai smettere di fare questo lavoro, mi piace troppo. Ve l’ho già detto: io adoro prendermi cura di voi e poi, se non avessi voi, che cosa farei?

Io non so fare altro.

Solo questo: prendermi cura di voi. Io ho bisogno di voi, forse più di quanto voi abbiate bisogno di me. Io vi amo, vi amo tutti allo stesso modo, senza distinzioni.

Ma c’è una persona su cui veglio, in particolare, è, come dire, una sorvegliata speciale. Dorme tutta rannicchiata, come una bambina, anche se bambina non lo è più da tempo. Lei è speciale, ha bisogno di tutte le mie attenzioni, più degli altri. Veglio sul suo respiro, a volte mi scordo perfino di respirare, per quanto sono concentrato. Scruto con attenzione il movimento dei suoi occhi nel sonno REM e cerco di interpretare i sogni che fa.

Se fa brutti sogni, con una mano li scaccio via, poi alito sul suo viso ed evoco galassie di sogni meravigliosi, costellazioni e nebulose e interi sistemi affollati di pianeti dai colori fantastici e prati verdi ricoperti di fiori strani e bellissimi, abbacinanti pianure desertiche e cieli azzurri, così azzurri che persino in sogno fanno male gli occhi a guardarli.

Sono i miei doni per lei.

Starei ore e ore a guardarla dormire, è così bella, ma non posso indugiare troppo, non devo trascurare le altre persone che mi sono state affidate. Adoro guardarla dormire, dicevo, anche se negli ultimi tempi ha il sonno un po’ agitato. Forse non se la passa tanto bene nella vita diurna, però di questo non sono sicuro, perché è compito di qualcun altro prendersi cura di lei durante il giorno. E io non vedo l’ora che scenda la notte, perché quando dorme, finalmente, è tutta per me.

Come dicevo, solo la notte posso stare con lei. Se si scopre, le rimbocco le coperte, se si agita nel sonno, la tranquillizzo. Ma lei non si avvede di me, in fondo, non sa neppure che esisto. E se pure si accorgesse della mia presenza, riuscirebbe a vedermi davvero, a credere in me, ad accettarmi per quello che sono, senza mettere in dubbio la mia esistenza, senza fuggire via, urlando di paura?

Ma a me poco importa. Mi accontento di vegliare su di lei e proteggerla. Perché solo questo so fare. Perché questo mi piace fare.

Solo questo.

Ma se, finalmente, si accorgesse di me, se mentre scruta il tramonto, fortuitamente riconoscesse la mia figura tra le ombre della sera, se mi degnasse anche di un solo, casuale, misero sguardo, non ci metterei molto ad abbandonare il mio lavoro per sempre. Non esiterei un momento a gettare la spada, non ci penserei due volte a staccarmi le ali.

E deporrei ai suoi piedi il mio cuore di angelo.

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1 commento:

  1. “E tu sei sveglio. Sei uno dei guardiani. Perché vegli? Uno deve vegliare, si dice. Uno deve esserci”
    (Franz Kafka, Di notte)

    Vegliare è la condizione dello scrittore. “Scrivere non è indolore. Scrivere è un’assunzione di responsabilità e di rischio. Scrivere è vegliare mentre tutti dormono. Scrivere è restare soli nel mezzo della moltitudine.”
    (Guido Conti, Dall’apologo all’aforisma)

    Scrivere è nascondersi, aggiungo io, celare la nostra natura, mostruosa agli occhi del mondo, spaventosa agli occhi della moltitudine. Terrificante perché incomprensibile.

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