giovedì 22 maggio 2014

Figli di Caino


 

Un breve commento a L’infinito nel palmo della mano, romanzo breve di Gioconda Belli, scrittrice nicaraguense di origine italiana. Il titolo è tratto da una bellissima, intensa poesia di William Blake.

Per vedere il mondo in un granello di sabbia

E il paradiso in un fiore selvatico

Tieni l’infinito nel palmo della mano

E l’eternità in un’ora

Il romanzo è la storia rivista e corretta, sul piano letterario, dei nostri progenitori, Adamo ed Eva. L’autrice c’induce a porci molte domande. Il peccato era inevitabile? Potevamo restare per sempre nel Giardino dell’Eden?

Chiunque altro fosse stato al posto loro, avrebbe colto e mangiato il frutto proibito. Chiunque, dico, perché uscire dal Paradiso terrestre e entrare nella Storia e conquistare la Conoscenza era il nostro destino. Perdere l’Eden era scritto nel nostro DNA. Il peccato originale era ineluttabile, la condizione posta da una divinità annoiata dall’eternità per avventurarsi nel mondo e, attraverso il gesto proibito di Eva, dare inizio alla Storia.

Noi sappiamo poco della discendenza di Adamo ed Eva. Certo, conosciamo Caino e Abele, come ce li hanno tramandati le Sacre Scritture, ma l’autrice, attraverso le sue ricerche personali, attribuisce loro una discendenza più ampia. Oltre ai figli maschi, v’erano due femmine, Luluwa e Aklia, la prima destinata in moglie ad Abele e la seconda a Caino.

Dunque, l’incesto è alla base della razza umana? Se non ci fossimo riprodotti tra consanguinei, costretti dalla circostanza di essere pochi, ci saremo estinti. Non lo fanno, forse, anche gli animali? Ciò che ci distingue da essi è la conoscenza, la consapevolezza del se, il sapere di esistere. Forse, quando è nata la nostra coscienza di essere creature altre, tutt’affatto diverse dagli animali, l’incesto è stato considerato un atto orripilante.

Tuttavia, le decisioni dei genitori non hanno seguito. Caino ama Luluwa e ne è ricambiato, mentre Aklia è sempre più attratta dalle scimmie antropomorfe. E Abele cade, sotto la mano del fratello, in una pozza di sangue.

Luluwa e Caino abbandonano i genitori e vanno per il mondo, mano nella mano, mentre Aklia corona finalmente il suo sogno di tornare al mondo ancestrale, primitivo, selvaggio delle scimmie con le quali siamo, con tutta evidenza, fortemente imparentati.

Non c’è nulla da fare, siamo discendenti di Caino, i figli dell’incesto, la generazione del male.

Secondo la versione di Gèrard de Nerval (La Regina di Saba), da Caino e Luluwa nascono i Figli del Fango, mentre dall’unione di Aklia e Seth, terzo figlio di Adamo ed Eva, nato dopo la morte di Abele, i Figli del Fuoco. Seth è anche il dio del caos nella mitologia egizia e forse, simboleggia l’elemento ferino, animalesco della psiche umana. Le due discendenze popolano il mondo. Ai Figli del Fango spetterà la ricchezza, il potere e la saggezza, ai Figli del Fuoco la tecnologia e l’arte, ma anche la fatica, la miseria e la solitudine.

Verso la fine, tuttavia, l’esposizione cala di tensione narrativa. La scena dell’addio tra Eva e la figlia Aklia, che torna a vivere tra le scimmie, si stinge e quasi si confonde nella vegetazione lussureggiante al crepuscolo. “Non dimenticarmi” le dice Eva, accarezzandola per l’ultima volta, per ricordarle chi era e chi è.
Ma il finale un po’ opaco nulla toglie alla magia della storia, al fascino e alla meraviglia di un racconto, la Storia delle Storie, che ha dato origine al viaggio dell’Umanità attraverso il tempo e lo spazio, un viaggio che ancora non è terminato.

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